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Fu l’uomo della svolta nel 1993. Il picconatore dei ladri. Si definiva un geometra senza soldi perché uomo onesto. Fu il rivoluzionario cresciuto, stranamente, nella cosiddetta ‘città della camomilla’ che per ben tre volte lo elesse sindaco.

‘Nicolino’ lo chiamavano gli amici. Era Nicolino anche per quei cittadini che lo stimavano per il suo alto rigore morale e la capacità di essere vicino a tutti. Un amore che varcava i confini del buon padre di famiglia e che si preoccupava di dare un futuro, seppur con un concetto idealistico, ai suoi ‘figli’.

“La mia forza è che gli avversari sono troppo scarsi. Li straccio tutti” disse durante la competizione elettorale che lo rielesse sindaco per la terza volta. “Berlusconi all’inizio era preoccupato. Ora mi telefona contento. Ha capito che non mangio bambini a colazione”. Fu lui a coniare la prima parola che fece inquietare non poco l’area democratica:”I sinistri mi hanno dipinto come il diavolo perché avevo detto che gli ebrei bisognava friggerli. Giuro che fu una stupida battuta a pranzo, una di quelle scemenze che si dicono bevendo e mangiando insieme. Figuriamoci se a quei poveri ebrei gli voglio male. Ne hanno già passate tante”.

Più che fascista apprezzava il metodo mussoliniano:”I sinistri mi accusano di ammirare Mussolini. E che c’è di male? Ho imparato molto da Mussolini. Se è per questo, ho appreso lezioni sulla conquista del potere anche da Lenin”. Venne eletto consigliere comunale per l’Msi negli anni ’80 per conquistare Palazzo D’Achille nel ’93 nel periodo di Tangentopoli. E sedette nello scranno più alto del Comune grazie alla sua onestà e senza grossi risorse da investire nella campagna elettorale. Aveva una bacheca lungo Corso Marrucino che aggiornava quotidianamente denunciando fatti e puntando il dito contro chi, a suo parere, stava rovinando la sua città.

Erano i democristiani i suoi nemici. Quelli che il giustizialismo ha processato negli anni ’90 per aprire le porte romane agli improvvisati della politica. Ma non era il caso di ‘Nicolino’. Lui la sua elezione se la sudò fino all’ultima goccia. Perché lui alla sua città ci teneva al punto da i inginocchiarsi persino davanti a Rosy Bindi:”Mi aiuti. Abbiamo un buco di 80 miliardi di lire”. I soldi arrivarono e il vecchio ospedale venne trasferito.

Non era solo il sindaco che andava in giro con il piccone per rimuovere le ‘brutture’ della sua Chieti. Era anche un valido amministratore con doti umane. Non aveva auto blu a disposizione ma solo la sua 500 che guidava da solo.

C’era emozione e vita nella sua ‘opera’. C’era stima umana prima che politica. E di quel mondo che lui rappresentava oggi se ne sente la mancanza. Specie quando il presente è fatto di pseudo intellettuali.

Antonio del Furbo

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