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È un altro numero a cui corrisponde un codice cartella e a cui l’ente di Stato chiede soldi. In realtà dietro quel numero c’è una persona a cui burocrati e dirigenti sta togliendo, giorno per giorno, pezzi di vita.

Si chiama Dino Rossi ed ha una piccola azienda agricola ad Ofena, un piccolo borgo in provincia dell’Aquila. “Dopo il terremoto del 2009 – spiega a Zone d’Ombra – ho avuto molte difficoltà a continuare il lavoro. Nonostante tutto, comunque, ce l’ho fatta e sono ripartito”.

Difficoltà che piano piano sono state superate da Rossi ma che si sono lasciate dietro tasse che non è riuscito a pagare interamente. “Consideri – aggiunge l’allevatore – che mentre io e altri allevatori dell’aquilano eravamo fermi perché non sapevamo a chi vendere i nostri prodotti, nei tendoni arrivavano prodotti di altre ditte da fuori”.{youtube}http://www.youtube.com/watch?v=zCM6_vL6ewQ&feature=youtu.be{/youtube}

Quindi in casa Rossi arrivano e prime cartelle di Equitalia per l’ammontare di circa 46mila euro che ben presto arrivano a toccare gli oltre 100mila euro. Ma l’ente risponde che tutta la procedura è legale e Rossi deve pagare magari con un piano di rateizzazione. 

“Sicuramente devo dare dei soldi – precisa Dino – ma è una somma che si aggira intorno ai 50mila euro”. La somma arriva a toccare gli oltre 100mila euro per l’incremento degli interessi con circa il 65%.

“Questi vogliono che io firmi un piano di rateizzazione senza che io conosca l’importo perché, probabilmente, vogliono inserire anche cartelle che non sono esigibili”.

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Dino però non accetta di subire quella che, secondo lui, rappresenta una vera e propria ingiustizia nei suoi confronti. E a luglio scorso decide che l’unica cosa da fare è legarsi una corda al collo e farla finita. “Avevo informato tutti della mia situazione, ma nessuno mi diede retta. Scrissi al direttre di Equitalia dell’Aquila, al Prefetto. Addirittura il questore dell’Aquila minacciò di sguinzagliarmi dietro la polstrada con il solo fine di sminuire la mia protesta”.

Equitalia, in una missiva a “firma di nessuno” indirizzata a Rossi, precisò che:”tutti gli atti di pignoramento sono stati eseguiti relativamente a determinate cartelle, citate nei verbali e regolarmente notificate, e non per l’intera morosità a suo carico, notevolmente superiore. La differenza tra i verbali è data dalla spese esecutive caricate su ciascuna procedura e pari a EUR. 83.67.” Rossi informò gli organi competenti del fatto che:”ancora una volta Equitalia evita di fornire al debitore quale somma vanta nei confronti dell’azienda agricola alla quale gli è stato pignorato il conto corrente, strumento utile per la conduzione aziendale, senza il quale non può effettuare spese, in quanto violerebbe la legge antiusura”. Rossi torna a richiedere a Equitalia “l’importo della somma con i relativi interessi di mora ed aggio, con gli indici di interessi, con un piano di ammortamento dettagliato”.

Un danno enorme per l’azienda che con il conto congelato:”subisce gravi perdite di guadagno che si ripercuoteranno anche per il prossimo futuro. I danni saranno tutti documentati e richiesti a l’ente di riscossione, attraverso le sedi giudiziarie che si riterranno opportune, in quanto l’azienda ha dato la disponibilità ad un eventuale rateizzo, ovviamente, non con interessi usuranti”.

Dino supera la fase del suicidio e a novembre torna davanti la sede di Equitalia dell’Aquila con un pallottoliere gigante con cento palle rosse:”l’ente lo dovrà utilizzare per fare bene i conti” ha detto Rossi.

“Mi hanno mandato da pagare dei duplicati di pignoramento – spiegò anche in quella circostanza – e la duplicazione degli atti è vietata per legge”.

Rossi chiede solo di sapere a quanto ammonta la somma da pagare in attesa, magari, che anche la politica si occupi di lui.

Antonio Del Furbo 

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