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Com’è strana la vita. Soprattutto: com’è strana la politica. E, ancor di più, com’è strano il giornalismo.

Ogni giorno gli organi del potere, ovvero giornali e tv, ci ricordano quando siano sfacciatamente al servizio dei loro “datori di lavoro”. Lo fanno, però, senza accorgersene. Si sforzano di farci credere (con scarsissimi risultati) di quanto siano indipendenti e tendenzialmente anarchici nel dare le notizie. Peccato che poi, nella realtà, le cose stiano diversamente.

di Antonio Del Furbo

Per un Giornale che ama il suo Silvio come se stesso, c’è un Fatto che ama, invece, un Casaleggio più di se stesso. Ed è questa, infatti, la novità. Ieri l’informazione leccava (giustamente) l’osso sacro del padrone. Oggi l’informazione, che si erge a ghigliottina del potere, va oltre trasformandosi essa stessa in fondoschiena al servizio del padrone di cui, quest’ultimo, se ne serve come meglio crede. Una similitudine, mi rendo conto, che viaggia sulle praterie verdi in cui pascolano analfabeti funzionali che come ebeti applaudono al falso scoop infarcito di linguaggio sporco di letame. Ma questo è.

Un letamaio redazionale che, ovviamente, a meno di ventiquattr’ore dal silenzio elettorale pensa bene di lanciare alle bocche sanguinanti di odio, pronte ad azzannare il nemico nell’arena, il pasto succulento dell’antimafia. Lo scopo, non dichiarato, è sempre quello: destabilizzare, buttarla in caciara, prendere a sberle la democrazia. Lasciare intravedere, sullo sfondo del palcoscenico, la luce della salvezza: il tintinnio di manette che presto o tardi ci governerà. Un sogno per i giustizialisti “travaglini” e “scanzini” che prendono ogni giorno l’ostia religiosa del manettaro perfetto nella chiesa dei “davighi”.

E così accade, per esempio, che si rilanci una non notizia diffusa dal presidente della commissione Antimafia per caso, Nicola Morra, in cui sono presenti nomi di politici candidati per un seggio a Bruxelles e in cui la situazione non è conforme al codice di autoregolamentazione. E tra i nomi delle liste si scopre che ci sono quattro esponenti Forza Italia, tra cui l’ex Cavaliere, e uno di Casapound. Evidente è, dunque, l’uso a fini politici della commissione Antimafia, da tempo consuetudine proprio alla vigilia della chiusura della campagna elettorale. Come accadde nel 2015 quando l’allora presidente della Commissione Antimafia era Rosy Bindi. L’esponente Pd comunicò la lista dei candidati alle elezioni Regionali del 2015 appena due giorni prima. Un’operazione che Michele Giarrusso (M5S) non esitò a definire una vera e propria “buffonata”. E oggi che ne pensa? Chissà.

Nel tritacarne manettaro ci finisce anche un nome noto della galassia 5 stelle, ovvero l’eurodeputata Daniela Aiuto.

Secondo Il Fatto l’ex grillina sarebbe stata cacciata dal Movimento per via di una questione di soldi Ue utilizzati per finanziare uno studio copiato da Wikipedia. Peccato che la Aiuto non fu cacciata dal Movimento ma ne uscì volontariamente. Inoltre “la vicenda (associata al mio nome) alla quale fa riferimento Il Fatto – spiega la Aiuto – era stata chiarita all’interno nell’arco di una settimana nel marzo 2017, essendosi trattato di errore di valutazione degli uffici interni del Parlamento, e che neanche un euro è stato speso in maniera non conforme, avendo io rimesso di mia tasca le somme che erroneamente il Parlamento aveva liquidato agli autori degli elaborati!”.

Dunque, tanto tintinnio di manette per nulla? Sì.

Come mai Il Fatto non fa sapere ai suoi lettori com’è andata a finire l’indagine dell’OLAF (organismo anti-frode europeo) sui fondi del gruppo EFDD spesi in maniera non conforme da parte del gruppo comunicazione M5S a Bruxelles?

A febbraio 2019 il quotidiano Repubblica pubblicò un articolo in cui riportò che il gruppo dell’Europarlamento EFDD (quello formato da M5S e Ukip inglese) contestò a Cristina Belotti, capo della comunicazione del Movimento in Europa e funzionaria dell’EFDD, una serie di rimborsi spesa. La Belotti avrebbe chiesto il rimborso di spese sostenute non per le sue mansioni di funzionaria europea, ma per fare campagna elettorale per il M5S in Italia in vista delle prossime elezioni politiche.

Probabilmente il direttore del Fatto non ha avuto tempo di occuparsene visto il suo impegno a giustificarsi con la sua redazione. Sì perché mercoledì, al termine di un’assemblea di redazione, i giornalisti del suo quotidiano gli hanno presentato un documento sindacale in cui esprimono una durissima critica alla linea editoriale piegata sempre più a sostegno del Movimento cinque stelle. Un’azione che sfocia in una difficoltà in cui diversi colleghi non schierati incontrano quotidianamente nel garantire un’informazione il più possibile obiettiva e plurale. “In trentacinque anni di professione nessuno mi aveva mai detto che sono un tifoso” ha detto il direttorissimo. Poi ha ribadito che “Non parlerò più con la redazione. Mi rapporterò soltanto con i vicedirettori”.

Amen.

Di admin

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