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Not in my name”. “No al terrorismo”. “L’Isis è fuori dall’Islam”. Tanti slogan ma pochi partecipanti alla manifestazione di sabato promossa dall’Unione delle comunità islamiche italiane. Antonio Del Furbo

I partecipanti si sono ritrovati a Roma in piazza Santi Apostoli per gridare tutto il loro sdegno nei confronti di chi ha generato e genera odio e distruzione. 

“Noi musulmani d’Italia – hanno detto – condanniamo con forza la recente strage di Parigi, esprimendo il più profondo sentimento di vicinanza al popolo francese e a tutti i familiari delle vittime così barbaramente uccise. Intendiamo perciò lanciare un appello che sappia indicare una solida svolta nei rapporti con la società civile e lo Stato italiano di cui siamo e ci riteniamo parte integrante. Invitiamo quindi tutte le musulmane e i musulmani ad una mobilitazione che, isolando ogni pur minima forma di radicalismo, protegga in particolare le giovani generazioni dalle conseguenze di una predicazione di odio e violenza in nome della religione”.

Parole profonde e sentite, sicuramente. Ma, c’è un ma. Perché in pochi hanno aderito alla manifestazione? Quasi due milioni di musulmani vivono in Italia. Perché poche centinaia sono scese in piazza? Soprattutto: quando si parla di “solida svolta nei rapporti con la società civile e lo Stato italiano” cosa si intende? Che anche in questo caso lo Stato italiano, e quindi gli italiani, hanno una responsabilità grave per atti come quelli avvenuti in Francia?

Il punto è capire se questa gente, armata molto probabilmente da America ed Europa, combatte in nome di un Dio oppure sono “solo” terroristi. 

“Finché non matureremo tutti la piena consapevolezza che il progresso della comunità umana si realizza attraverso il dialogo tra culture, civiltà e religioni, non vi sarà una pace duratura – tuona la presidente della Camera Laura Boldrini dall’alto della sua retorica. 

E quindi? Che vuol dire?

Altro punto, non secondario, è quello delle proposte che sono state fatte sabato scorso nelle piazze italiane. Uno degli slogan dei musulmani moderati diceva:“No al terrorismo. Sì alle moschee”.

Ha un senso questa proposta al fine di risolvere questo eterno conflitto tra popoli?

Il sottinteso – spiega Magdi Allam è che se ci fossero più moschee, scomparirebbe il terrorismo islamico. È fin troppo facile – spiega ancora Allam – rilevare che il terrorismo islamico è principalmente presente ed è esploso nei paesi musulmani dove le moschee abbondano fin troppo. Ugualmente, visto che la manifestazione era stata indetta contro gli attentati terroristici che hanno insanguinato Parigi, sorge spontanea la domanda: in Francia ci sono poche o tante moschee? I dati ufficiali dicono che a Parigi vi sono già 25 moschee con cupola e minareto e 60 luoghi di preghiera autorizzati, mentre in tutta la Francia vi sono 2.300 moschee oltre a 250 in costruzione. Rispetto all’Italia, che ha “solo” 4 moschee con cupola e minareto e complessivamente un migliaio di luoghi di preghiera islamici, la Francia ha fin troppe moschee. Ebbene, a fronte della realtà dei paesi musulmani e della Francia, che attestano che più moschee corrisponde a più terrorismo islamico, perché mai in Italia dovremmo concedere più moschee?”

Idee poche e confuse quelle di chi ha sfilato sabato? Forse sì.

“L’Islam moderato che ci raccontano quando c’è da scendere in piazza per condannare senza se e senza il terrorismo islamico non arrivano a cinquecento. Cosa dobbiamo pensare? Che quelli rimasti a casa stanno coi kamikaze?” si chiede la Santanché. E non solo.

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