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Cosa è successo nell’Hotel Rigopiano? Cosa si sono detti e cos’hanno fatto nelle ore precedenti la tragedia gli ospiti e i dipendenti della struttura? I soccorsi erano coordinati per l’emergenza? Soprattutto: la struttura poteva essere costruita in quel posto?

di Antonio Del Furbo

Le domande al momento non trovano ancora una risposta né da parte delle istituzioni né da parte, purtroppo, dei diretti interessati. È questo il tempo per porsi delle domande? Forse sì, ce lo impone il nostro senso civico, il nostro essere cittadini e, soprattutto, la nostra coscienza. Pur vivendo con il cuore la tragedia avvenuta a Farindola e, in generale, in tutto l’Abruzzo, dobbiamo guardare al futuro con mente lucida e razionale sin da subito, al fine di evitare che fatti del genere accadano nuovamente.

Intanto, man mano che le ricerche vanno avanti e passano le ore, il quadro della situazione si va via via delineando. 

È certo che in quelle ore drammatiche, le persone volessero abbandonare l’Hotel Rigopiano. Una decisione accentuata appena dopo la terza scossa di terremoto di mercoledì. Ospiti e dipendenti, 36 persone in tutto tra cui tre bambini, non se la sentivano di rimanere ancora nella struttura circondata da tre metri di neve e hanno prontamente rifatto le valigie. Lo stesso gestore del resort, Roberto Del Rosso, aveva consigliato alle persone di lasciare la struttura.

Bruno Di Tommaso, il direttore dell’hotel, conferma l’intenzione di Del Rosso:L’avevo sentito alle 16 attraverso messaggini. Roberto era preoccupato per la tanta neve. Ero sceso per coordinare da Pescara le operazioni di soccorso per lo sgombero neve, poi la situazione alle 17 è precipitata. Tutto lo staff era radunato al bar, mentre gli ospiti si trovavano nella hall perché stavano per andare via”.

L’Sos era stato lanciato dalla responsabile della spa Marinella: la donna aveva chiesto l’intervento di una turbina ma gli era stato risposto che c’erano altre priorità. A confermare l’impossibilità dell’intervento il presidente della Provincia di Pescara Antonio Di Marco:

“Siamo in emergenza, non possiamo venire. Le nevicate di ieri e l’altro ieri (martedì e mercoledì) in tutta la provincia non ci hanno messo in condizione di intervenire tempestivamente ovunque, non è stata una situazione facile. Ma fino ai giorni precedenti le strade erano pulite”.

Un dramma, quello che si stava consumando a Rigopiano, preso molto alla leggera da parte delle istituzioni. Tant’è che lo stesso Quintino Marcellaristoratore e datore di lavoro di Giampiero Parete, l’uomo salvatosi dalla valanga e che aveva mandato chiamato Marcella alle 17.30 per avvertirlo della valanga, ha dichiarato che:

“Ho ricevuto una telefonata dal mio cuoco tramite Whatsapp che era lì in vacanza con la moglie e i bambini di 6 e 8 anni. Mi ha detto: è venuta una valanga l’albergo non c’è più, sparito, sepolto. Noi siamo in due, qua fuori, chiama i soccorsi, chiama tutti. Io tramite il centro la polizia riesco a mettermi in contatto con il centro di coordinamento della prefettura. La signora mi risponde in maniera “particolare”: “Guardi ho chiamato due ore fa l’albergo ed era tutto a posto”.

A quel punto Quintino spiega di aver detto che il suo cuoco non scherzava, che era serio, malei non ha voluto prendere sul serio la mia versione”.

Marcella non si arrende e continua a chiamare il “118, 112, 115… ho impazzito il mondo” dice.Solo alle 20 gli credono e scatta la macchina dei soccorsi.

“Dopo mi hanno creduto. Mi hanno fatto le domande. Io sentivo il mio amico via messaggi…continuava a dire aiuto e che “gli altri sono tutti morti”, ma io non so se è vero”. Mi ha detto “ho perso tutto. Mi auguro che Gesù sia grande e li ritrovino vivi”. E infine dice: “Purtroppo la macchina dei soccorsi è partita con due ore di ritardo”.

La comunicazione è mancata anche da parte di chi doveva comunicare: la Prefettura. Il prefetto di Pescara, Francesco Provolo, almeno nella prima fase non ha rilasciato nessuna informazione utile su quello che stava accadendo intorno alla vicenda Rigopiano. Silenzio assoluto dopo oltre 24 ore dall’inizio dell’emergenza.

Una situazione poco chiara tant’è che la magistratura ha aperto un’inchiesta al fine di verificare e accertare i motivi per cui questi soccorsi non sono arrivati. Il fascicolo aperto è per disastro colposo e omicidio plurimo colposo: i giudici andranno a ricostruire cosa è successo in quei tragici momenti. Un lavoro coordinato dal procuratore aggiunto Cristina Tedeschini e dal pm Andrea Papalia. L’obiettivo dei magistrati è capire quali sono stati i tempi della macchina dei soccorsi e se ci sono state responsabilità nell’azione.

Perché quando Marcella telefona al 118, alla prefettura, ai carabinieri, alla polizia e a tutti i numeri dell’emergenza gli operatori impiegano venti minuti a fare tutte le verifiche? Perché passa un’altra ora prima che ambulanze, vigili del fuoco e carabinieri cominciano a muoversi? Perché alla turbina finisce il gasolio? Perché le due persone che avevano dato l’allarme riescono ad essere salvate da 5 sciatori della Protezione civile che superano la turbina e un paio di slavine? 

I bollettini Meteomont del 17 gennaio 2017 indicavano un pericolo di livello 4 su 5 di rischio valanghe nella zona del Gran Sasso.

Qualcuno se n’era accorto? Ad esempio il prefetto e il sindaco di Farindola? Le vie dovevano essere liberate come prevede il piano sicurezza per garantire l’arrivo di una ambulanza in 40-50 minuti in caso di necessità?  

Parrebbe, tra l’altro, che la Protezione Civile regionale abbia recensito circa 800 valanghe nel periodo successivo al 1950, pubblicando le informazioni in una Carta storica delle Valanghe aggiornata alla stagione invernale 2013-2014. Secondo il sito Candidati senza voce, “il comune di Farindola è nel pieno della “zona rossa“, quella dei comuni già oggetto di fenomeni di smottamento nevoso. La legge regionale prescrive che … “Nelle aree soggette a tale pericolo è sospesa l’edificazione, la realizzazione di impianti e infrastrutture ai fini residenziali, produttivi e di carattere industriale, artigianale, commerciale, turistico e agricolo nonché ogni nuovo uso delle aree che possa comportare un rischio per la pubblica e privata incolumità.”

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