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L’inchiesta sulla presunta corruzione che sta infliggendo un colpo duro alla credibilità della giustizia italiana, si allarga a macchia d’olio. E, dopo la notizia del coinvolgimento di altri 20 magistrati, spuntano altri particolari sulla vicenda.



L’attenzione rimane, ancora, su Luca Palamara e sulle dichiarazioni rilasciate ai suoi colleghi. Palamara, fin dalla notizia del suo coinvolgimento nell’inchiesta, ha dichiarato sempre di voler essere interrogato per spiegare, ai sostituti procuratori di Perugia, di non ha mai preso soldi e regali. Palamara era il giudice potente in grado di mettere bocca sulle nomine dei vertici degli uffici giudiziari.

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In quattro ore di monologo Palamara ha cercato di smontare le accuse rivoltegli. Ma, a quanto pare, anche al Csm sopravvive il Manuele Cencelli in cui le correnti si spartiscono nomine e poltrone.

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Inquieta, tra l’altro, l’ipotesi della procura che rileverebbe le nomine a Palazzo dei Marescialli garantite e pilotate dall’esterno, per interessi criminali, illegali, illeciti. Il numero dei magistrati indagati, infatti, riguarderebbe anche vertici di uffici giudiziari nominati per essere a disposizione.

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“Posso chiarire tutto. Quegli alberghi li ho pagati io, in contanti. Non volevo che mia moglie scoprisse che ero in compagnia di una donna”. Così Palamara ai giudici che lo ascoltavano in silenzio. Nel fascicolo d’inchiesta ci sono persino le dichiarazioni dei titolari degli alberghi e le fatture pagate. Ma Palamara non poteva saperlo perché la documentazione è tra quella raccolta dalla Guardia di Finanza.

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Soggiorni offerti da Fabrizio Centofanti sin dal 2011 a Palamara che, all’epoca, non era ancora componente del Csm. Soggiorni a partire da 425 euro per due notti all’Hotel Fonteverde di san Casciano dei Bagni, Siena. L’amministrazione dell’Hotel Campiglio Bellavista conservava l’appunto che il prenotante della stanza era Fabrizio Centofanti, che per loro era riservata la mezza pensione e che avrebbe saldato il conto lo stesso Centofanti.

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Poi c’è la storia in cui Adele Attisani preferisce un gioiello del valore di 12.000 euro. Nelle carte della inchiesta si raccontano storie di mercimonio di magistrati che si vendevano sentenze e trasferimenti di fascicoli da una città a un’altra.

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