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Forse ci siamo. Il corregionale Franco Marini, dopo essere stato trombato alle elezioni un mese fa, arriva al Quirinale grazie al super inciucio Pd-Pdl.

Ma chi l’avrebbe mai detto che il Pd e il Pdl avessero fatto l’inciucio post-elezioni? Noi, solo noi. All’indomani delle elezioni politiche di febbraio scorso, uscimmo con un video girato all’interno della sede elettorale del Pdl a Pescara in cui raccontammo dei baci e degli abbracci tra Giovanni Legnini del Pd e del Pdl Filippo Piccone (IL GRANDE INCIUCIO). Il Pd, partito dei dinosauri, non perde occasione per spostare sempre più in basso l’asticella del consenso e quindi ben vengano proposte deliranti da mandare sul Colle: D’Alema, Finocchiaro, Amato e ora il brontosauro Marini. Ma questi del Pd, ci fanno o ci sono? 

PD IN FRANTUMI

Sulla proposta di parte del Pd di puntare su Franco Marini per la corsa al Quirinale c’è la condivisione di Pdl e Scelta Civica. Su questo lampo di genio di Bersani, è successo il finimondo. L’altra metà del partito si è rivoltata contro questa decisione annunciando voto contrario. La grande idea di proporre Marini al Quirinale era stata concepita nel pomeriggio di ieri in un incontro a porte sbarrate tra Bersani e Berlusconi assieme a quelli di Amato e Mattarella. «Il candidato è Marini, una persona che viene dal popolo, positiva e seria. Marini non è persona di centrodestra, ma ha sempre dimostrato di essere sopra le parti. Per noi non è una sconfitta», queste le parole del Pierluigi nazionale che, però, non ha tenuto conto della volontà del popolo della sinistra. In una parola: Bersani ha distrutto definitivamente il Pd.

CHI È FRANCO MARINI

Il possibile futuro presidente della Repubblica viene da una famiglia modesta e numerosa. È abruzzese di San Pio delle Camere (L’Aquila), è stato segretario generale della Cisl, presidente del Senato, ministro del Lavoro, segretario del Partito Popolare e parlamentare europeo. Da una famiglia modesta e numerosa alla più alta carica dello Stato, attraverso un percorso politico ancorato alle questioni del lavoro. Potrebbe essere questa la conclusione della parabola di Franco Marini, il nome per il Quirinale su cui convergono Pd, Pdl e Scelta Civica alla vigilia del voto in Parlamento per l’elezione del nuovo capo dello Stato. Nel 1950 si iscrive alla Democrazia Cristiana, si laurea in Giurisprudenza e lavora nell’ufficio contratti e vertenze della Cisl. Nell’Aprile del 1991 passa dalla segreteria del sindacato al Governo, con l’incarico di ministro del Lavoro e della Previdenza Sociale del settimo governo Andreotti. Nel 1992 la Dc candida Marini e diventa il primo dei non eletti a livello nazionale. Con il passaggio dalla Dc al Partito Popolare nel 1994, Marini diventa segretario nel 1997 succedendo a Gerardo Bianco. Sono gli anni del progetto politico dell’Ulivo, ma il leader Romano Prodi non scardina la volontà di Marini di mantenere ai Popolari una precisa identità, da non disperdere in un’unione di partiti. Nel 1999, eletto al Parlamento europeo, Franco Marini lascia la guida dei Popolari a Pierluigi Castagnetti. Poi l’esperienza della Margherita che si propose di rappresentare i settori più centristi della politica. Nell’aprile 2006 Marini diventa presidente dell’Aula di Palazzo Madama. Nel 2001 l’alleanza elettorale della Margherita, che diventa partito un anno dopo, non viene ostacolata da Marini, che ne diviene responsabile organizzativo. Nella Margherita Marini incarna i settori più centristi, inizialmente diffidenti rispetto al progetto del Partito Democratico. Tanto che, nel confronto del maggio del 2005 tra Prodi e Rutelli, Marini sostenne quest’ultimo affermando la necessità della Margherita di presentarsi da sola al proporzionale. Ma Marini figura comunque tra i fondatori del Partito Democratico ed attualmente è il principale referente della corrente dei Popolari di matrice democristiana e cristiano sociale. Nel 2008 gli succede al Senato Renato Schifani. Nel 2013, nonostante il Pd gli avesse concesso una deroga, non viene rieletto al Senato.

 

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