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Alice Sebesta è una 33enne di origini tedesche che martedì, a Rebibbia, ha scaraventato i figli giù per le scale del nido del carcere, uccidendo sul colpo la più piccola, Faith, di 4 mesi, e ferendo in modo gravissimo Divine, di 19 mesi, per il quale è stata decretata la morte cerebrale.

Sebesta è stata sottoposta a Trattamento sanitario obbligatorio e piantonata nel reparto di psichiatria dell’ospedale Pertini.

quanto pare, e a quanto risulta dai documenti, la tragedia poteva essere evitata visto che la donna, “era stata più volte segnalata per alcuni comportamenti, sintomatici di una preoccupante intolleranza nei confronti dei due piccoli”. Il personale del carcere aveva segnalato “la necessità di accertamenti anche di tipo psichiatrico”, secondo quanto contenuto in un documento firmato dal capo del Dipartimento di amministrazione penitenziaria, Francesco Basentini.

Informazioni che però al suo legale, Andrea Palmiero, non sono state mai comunicate.

“L’istanza per farle avere i domiciliari – spiega al Dubbio l’avvocato – è stata rigettata dal giudice per le indagini preliminari come fosse acqua fresca.”

L’avvocato, poi, spiega che “se queste informazioni dovessero rivelarsi vere, la cosa sarebbe davvero molto grave: avrei dovuto certamente essere informato di certe circostanze. Invece non ho mai saputo nulla.”

E a questa stortura, piuttosto grave, si aggiunge un’altra molto più grave in cui il giudice rigetta la richiesta di scarcerazione della donna per ben due volte.

“Nel primo caso si poneva un problema effettivo: la donna, che non si trovava nel proprio Paese, non aveva una casa in cui poter eleggere domicilio, così la prima volta la mia istanza è stata respinta. Mi sono impegnato per trovare una casa in cui potesse passare questo periodo di custodia cautelare ai domiciliari e alla fine ci sono riuscito. Così ho presentato per la seconda volta istanza, ad un nuovo giudice, in quanto nel frattempo era cambiato. Ma, inspiegabilmente, è stata rigettata una seconda volta, senza alcuna giustificazione a mio avviso plausibile: secondo il gip, la difesa non aveva portato alcun elemento nuovo. In realtà, però, l’elemento nuovo c’era: la casa, appunto.”

La donna era finita in carcere il 26 agosto scorso, arrestata in flagranza per spaccio di marijuana, con due figli piccolissimi dietro.

“Era il suo primo arresto” spiega l’avvocato. Non stiamo parlando, quindi, di una persona recidiva, ma di una persona che affrontava questa esperienza per la prima volta, in un Paese straniero, che non le apparteneva, per giunta. L’ho vista molto spaesata, com’è comprensibile. Ma nulla poteva farmi pensare che le cose sarebbero andate a finire in questo modo.”

Intanto il ministro della giustizia ha sospeso i vertici del carcere.

La carcerazione della donna è arrivata perché in Italia era di passaggio e non aveva un domicilio. Una norma del 2011 prevede la carcerazione preventiva domiciliare per le donne con figli piccoli presso il proprio domicilio. Ma la legge dice anche che la donna avrebbe dovuto alloggiare insieme ai figli in una struttura Icam (Istituto a custodia attenutata per detenute madri) cioè, scrive Repubblica, il livello intermedio tra la “sezione nido” destinata alle mafiose e alle terroriste e la casa protetta, destinata ai reati minori. La Icam a Roma non c’è e la donna è stata mandata nella sezione più dura. 

“Ho liberato i miei figli dalla mafia”.

La donna era convinta che Divine “non era felice, stava male, le rubavano i giocattoli e che non sopportava quella assordante ninna nanna per neonati”. 

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