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Uno degli “effetti collaterali” della nostra civiltà tecnologica, in particolare della digitalizzazione, è senza dubbio la “non conservazione” del materiale. Da alcuni sondaggi è stato stimato che il 40% della popolazione italiana non ha una fotografia cartacea degli ultimi 5 anni. Il cambio dei supporti, inevitabile con l’avanzamento della tecnologia, porterà inevitabilmente a una distruzione della memoria, delle radici. Se un ragazzo tra 100 anni si trovasse nella condizione di reperire il materiale per una tesi di laurea sul nostro tempo, troverebbe soltanto un grosso buco nero e un’epoca costruita sulla riva del mare, cancellata ogni giorno dallo sbriciolarsi dell’onda. Da questa riflessione nasce un’ idea imprenditoriale che, senza dubbio, partorita da un non imprenditore ma da un semplice uomo di cultura, rappresenta uno sconfinamento e assume l’aspetto di una battaglia più ideologica che concreta. Le banche di conservazione nascono per salvaguardare i nostri ricordi. Il cittadino porta alla Banca il materiale che vuole conservare (foto, video, giornali online, libri online ecc…) in una chiavetta e la banca di conservazione crea una “cassaforte”, pensabile come una cassaforte bancaria, in cui custodisce i ricordi del depositario. Compito della Banca di Conservazione è la conservazione del bene e l’aggiornamento del bene al variare dei supporti. Il cittadino paga una quota iniziale per il deposito e successivamente paga una piccola quota ogni qualvolta è necessario passare il suo materiale da un supporto all’altro. Dal momento che il cittadino ha bisogno di quel materiale, la Banca di Conservazione glielo renderà sempre nel supporto corrente e aggiornato con i tempi. Questa è un’idea imprenditoriale che non nasce da una cordata di imprenditori ma dalla mente di un semplice uomo di cultura e, proprio per questo, è destinata a rimanere, con il bilancio in attivo, confinata tra le circonvoluzioni cerebrali. Marco Minnucci

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