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Le maniere di rispondere di Paolucci e Chiodi.

C’era una volta… le lettere al direttore, una sezione del quotidiano o di una rivista in cui si scriveva per dare o chiedere chiarimenti. Nel corso degli anni la stampa, si sa, si aggiorna e si migliora di continuo e da un po’ di anni non è più inconsueto trovare sui giornali e sui quotidiani le dieci domande. È una formula ormai consolidata: qualcuno formula dieci quesiti a qualcun altro, pubblicamente e nero su bianco, e l’interpellato risponde. Quando però le questioni sono rivolte agli amministratori per avere delle spiegazioni non si sa cosa, in che modo, e soprattutto se risponderanno. Sono passati quasi due anni dal caso che fece tanto scalpore: l’ex-premier, Silvio Berlusconi, querelò il quotidiano “La Repubblica” per le dieci domande che gli furono rivolte a proposito della vicenda Ruby, perché ritenute diffamatorie. Domande alle quali, ovviamente, non rispose.

In questi giorni in Abruzzo l’attenzione è concentrata sulle risposte, e non risposte, dei due casi che portano il nome di Paolucci e Chiodi. Casi che hanno avuto esiti molto diversi. Mentre il segretario dei democratici abruzzesi, Silvio Paolucci, ha prontamente risposto ai quesiti che gli sono stati posti dall’assessore Gianfranco Giuliante, Pdl, sul caso Lusi, molto differente è stato l’atteggiamento di Gianni Chiodi, il presidente della regione Abruzzo. Qualche giorno fa il Consigliere regionale dell’Italia dei Valori, Cesare D’Alessandro, ha posto al presidente della nostra regione, sempre tramite stampa, delle domande. Si tratta di dieci chiari, oltre che legittimi, interrogativi collegati all’inchiesta della procura di Teramo sul crack dei fratelli Di Pietro, arrestati per bancarotta. Ricordiamo brevemente che i due ricevevano assistenza fiscale dallo storico studio associato Chiodi & Tancredi, e sarebbero coinvolti in attività di fallimenti pilotati e di soldi riciclati a Cipro.

 

Ebbene il governatore non ha ancora risposto. Eppure le domande che gli sono state poste non sono dei quesiti di tipo filosofico o esistenziale. Non gli sono state chieste opinioni sul senso della vita o sull’idea che si è fatto dell’eventuale esistenza degli alieni, ad esempio. Niente di tutto ciò. Dovrebbe essere un dovere rispondere pubblicamente a questioni quali “Il suo studio professionale ha mai costituito società nell’isola di Cipro? E in particolare, per conto di Nicolino e Maurizio Di Pietro?” oppure “Non ritiene forse giusto che gli abruzzesi, i quali da quattro anni pagano ogni sorta di tasse per ripianare i debiti contratti, debbano sapere da chi sono guidati e in che maniera?” Significherebbe obbedire, non solo alle regole di buona educazione, ma anche a quel senso morale o etico che ogni dirigente o amministratore (e qui si parla nientemeno che di un presidente di regione) contrae tacitamente nei confronti degli elettori ogni volta che viene scelto per rappresentare e per amministrare le cose comuni.

 

di Maria Teresa Avolio

 

 

 

 

 

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