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Il cervello può mentire a se stesso?

In “Guerre Stellari” (1987) il rumore dei TIE-Fighter di Darth Vader è stato creato combinando il barrito di un elefante con il rumore di un’auto che sfreccia su una strada coperta. 


“Gli impulsi neurologici emessi mentre sogniamo, fantastichiamo o in stati allucinatori sono indistinguibili da quelli che guizzano nel nostro cranio quando realmente sperimentiamo questi eventi”. 

Dottor Daniel Pierce, docente universitario presso la cattedra di neuroscienze, un personaggio a confronto ogni giorno con la sua schizofrenia paranoide.

“Quindi se quello che percepiamo è spesso sbagliato, come distinguiamo il reale da ciò che non lo è?”

E’ Max Lewicky (Arjay Smith), assistente del professore, il tramite di quest’ultimo con la realtà osservabile e percepibile da tutti gli altri; aiuta il protagonista a discernere le figure astratte da quelle reali, lo segue durante le sue lezioni e i diversi momenti della giornata, fino a casa, dove da semplice assistente diventa anche coinquilino.

“Lewicky, vitto e alloggio in cambio di faccende domestiche non fanno di te mia madre”.

Il ruolo di insegnante, quindi, traccia i confini strutturali iniziali della vita del personaggio, tra casa e college universitario, dove non stabilisce, tantomeno consolida, relazioni differenti da quelle professionali, poichè cosciente della sua condizione mentale.

Kate Moretti (Rachael Leigh Cook), ex-allieva di Daniel, attualmente agente FBI, rompe questi limiti, coinvolgendo il professore in diverse indagini del Bureau, ritenendo basilare la sua collaborazione.

Questo è Perception, serial televisivo statunitense, in onda dal 28 Novembre 2012, in prima visione assoluta su Fox, ogni mercoledì sera. Eric Mccormack lascia l’appartamento al 394 West 88th Street per insegnare Neuroscienze. Dimenticate il giovane avvocato tirato a lucido, completo, camicia e scarpe in pendant, per ricevere alle 21.00 il Dottor Daniel Pierce: abiti casual (quasi trasandato), occhiali da vista retrò, capello spettinato ma non troppo, barba incolta, visionario, il prototipo perfetto della donna contemporanea.

Il protagonista, clinicamente fuori di testa, come già detto, esce da uno schema dettagliato di quotidianeità perfettamente costruito, per risolvere il crimine in ogni puntata. Fuori dall’aula non riesce a controllare i suoi tic nervosi, frenati generalmente grazie a una consistente dose di cruciverba selezionati e di brani classici su musicassetta, mai su altri supporti, spesso improvvisando la direzione di un’inestistente orchesta sinfonica.  

La risoluzione dei casi porta la firma della sua insanità mentale: le sue allucinazioni assumono la forma di differenti characters, identità che spesso corrispondono ai sospettati degli omicidi, e mostrano al professore ciò che razionalmente la sua coscienza non comprende. 

Natalie Vincent (Kelly Rowan), amica di Daniel, è invece una proiezione costante del suo inconscio, riconosciuta come tale dal protagonista e coadiuvante prioritario nel suo processo di ragionamento.

Probabilmente è giusto pensare di aver visto già tante serie televisive di questo genere (gialli o thriller) e le note di richiamo del professore disturbato e anticonformista sono molteplici, quasi un modello standard, reso carismatico a tal punto da soggiogare e plagiare gli altri personaggi, resi letteralmente di contorno.

La trama ,comunque, risulta regolare, dati gli intervalli ben distribuiti tra la vita di Daniel e le indagini da svolgere, le linee (trame)orizzontali delineanti la follia del protagonista si allacciano ai disturbi mentali-psichiatrici di diverse figure presenti nelle quattro puntate trasmesse, osservando così i canoni narrativi del concept poliziesco e mantenendo una dimensione non impegnativa, quasi di semplice evasione.

In attesa della nuova puntata.


Michele Bellafronte




* “Portala al cinema” (2006)


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