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Il Dipartimento Investigativo Antimafia racconta una verità scomoda per l’Abruzzo e per certa politica. Nei primi due anni che fecero seguito al terremoto che il 6 aprile 2009 colpì L’Aquila c’è stato “quasi un assalto alla diligenza per arrivare ad accaparrarsi gli appalti più lucrosi da parte della camorra, della ‘ndrangheta e di cosa nostra (particolarmente quella gelese)”.

Il Dipartimento Investigativo Antimafia racconta una verità scomoda per l’Abruzzo e per certa politica. Nei primi due anni che fecero seguito al terremoto che il 6 aprile 2009 colpì L’Aquila c’è stato “quasi un assalto alla diligenza per arrivare ad accaparrarsi gli appalti più lucrosi da parte della camorra, della ‘ndrangheta e di cosa nostra (particolarmente quella gelese)”. Tutto questo pare non interessare ai pupazzi della politica che si muovono a vari livelli per cercare di riaccaparrarsi la poltrona alle prossime elezioni. Nessuno che racconti le cose come stanno. Tutti concentrati nel trovare il leader ‘giusto’ per questo o quel territorio ma guai a parlare di contenuti e di un progetto e lungo termine per il territorio. A chi non fa comodo parlare di mafia, ‘ndrangheta e camorra in Abruzzo? A tanti. A molti.

OLGA CAPASSO:”AZIENDE MAFIOSE DEL NORD IN ABRUZZO

Il sostituto procuratore nazionale antimafia Olga Capasso, usa queste parole nel rapporto annuale riferito al 2013 applicata per un periodo all’Aquila per seguire da vicino le dinamiche sulle possibili infiltrazioni della criminalità organizzata nei lavori del post-sisma.

“Nei primi due anni circa imprese contigue alla mafia o possedute in prima persona da soggetti condannati per associazione mafiosa – si legge nella relazione – sono state passate al setaccio, e sono state veramente tante”. Secondo la Capasso “l’unica vera intrusione della ‘ndrangheta e della camorra” in Abruzzo “si è avuta in seguito al terremoto. Cosa ovvia – osserva – perché la criminalità organizzata si porta dove girano i soldi, e gli appalti per la ricostruzione hanno costituito, almeno per i primi due anni dopo il sisma, un’occasione da non perdere. Ma non si è trattato di imprese già presenti sul territorio, ma piuttosto di società saldamente impiantate nell’Italia settentrionale, attirate dagli appalti e dunque presenti in Abruzzo solo fino a quando erano prospettabili lucrosi guadagni”. Il sostituto procuratore della Dia spiega che “la criminalità organizzata mafiosa presente in Abruzzo, anche temporaneamente come in occasione del sisma del 2009, agisce in modo defilato, spesso non viene ad operare direttamente nella regione con le sue imprese ma si avvale di prestanome. Non va dimenticato, infatti, che è stato documentato il dinamismo di esponenti delle cosche ‘Borghetto-Caridi-Zindato’, ‘Serraiano’ e ‘Rosmini’ di Reggio Calabria nell’accaparramento di appalti connessi alle opere di ricostruzione post terremoto, consentendo il sequestro preventivo di beni mobili e partecipazioni societarie per un valore complessivo di circa 50 milioni di euro”.

CLAN ‘GRANDE ARACRI’

Il clan ‘Grande Aracri’ è una potente cosca malavitosa che opera a Cutro in Calabria e al nord in gran parte del Veneto, a Cremona, Parma, Reggio Emilia, Piacenza e Salsomaggiore. Molto attiva anche in Germania. Gli esponenti del clan sono Ernesto Grande Aracri, Nicola Grande Aracri e Angelo Salvatore Cortese, il vice di Nicolino Grande Aracri collaboratore di giustizia. Sono gli uomini che a Salsomaggiore si sono nascosti dietro lustrini, paillettes e ‘onorata società’ di vippetti tirati a lucido. Cocaina, gioco d’azzardo, armi, manovalanza clandestina e imprese che riciclano denaro mentre costruiscono case, dipingono muri e restaurano palazzi. Operano indisturbati anche nel paese di Brescello, quello di Don Camillo e Peppone. Pregiudicati assassini che usano tacchi e tette delle miss per accaparrarsi denaro e ripulirlo. 

“È stato altresì accertato l’interesse del clan Grande Aracri agli appalti per la ricostruzione dell’Aquila, quando ancora si credeva che quel filone sarebbe stato un grande affare per tanti costruttori, attraverso contatti e incontri con imprenditori abruzzesi e rappresentanti degli enti locali” si legge ancora nella realazione di Capasso. “Per varie vicende questa indagine, nata presso la Dda di Bologna, non ha portato ancora a risultati concreti, ma le indagini continuano anche in Abruzzo e avranno prima o poi un loro sbocco”. “Lo scambio di informazioni tra la prefettura e la Dna – spiega quindi Capasso – ha permesso al prefetto di decretare l’interdittiva antimafia per numerose società, così come da parte sua la Direzione nazionale ha, nell’ambito dei suoi poteri d’impulso, sollecitato le procure territorialmente competenti a proporre misure di prevenzione patrimoniale. Purtroppo – osserva la relatrice – si è andata consolidando una giurisprudenza, sia per quanto riguarda la giustizia amministrativa per le interdittive disposte dal prefetto, sia per quanto riguarda i tribunali ordinari per le misure di prevenzione, per cui i collegamenti accertati per il passato con organizzazioni criminali non sono sufficienti, richiedendosi sempre l’attualità dei collegamenti con soggetti mafiosi. Questo rende più difficile il contrasto alle infiltrazioni mafiose negli appalti, anche perché se il collegamento è attuale le indagini sono ancora coperte da segreto e quindi gli atti non sono ostensibili, e dunque un più stretto rapporto tra le autorità amministrative di controllo e la magistratura inquirente pare l’unica strada percorribile per arrivare a risultati più concreti. Nonostante tutto alcune grandi imprese sono state eliminate dal mercato con la conferma della misura interdittiva anche del Consiglio di Stato”.

“LO STATO HA ABBANDONATO L’AQUILA”

“La stretta vigilanza attuata, ma soprattutto la mancanza di fondi per pagare i lavori – si legge in un passo della relazione – hanno fatto progressivamente allontanare le imprese dal mercato, una volta ricco e promettente di grossi guadagni ed ora abbandonato perché c’è stato l’abbandono dell’Aquila da parte dello Stato. Che non ha i fondi necessari, o ha deciso di investirli in altri campi a cui ha dato priorità. Ora le poche imprese che lavorano sono tutte abruzzesi, e tranne qualche caso sporadico e tempestivamente individuato non hanno alcun rapporto con la criminalità organizzata. Tuttavia – puntualizza Capasso – l’attenzione della Procura dell’Aquila e della Dna non diminuisce”.

 

RICOSTRUZIONE IN STASI PIU’ COMPLETA

Per “la ricostruzione vera e propria della città dell’Aquila, con i suoi palazzi antichi e gli edifici pubblici, tutto si è involuto verso la stasi più completa” ha osservato la Capasso. “A distanza di quattro anni dal terremoto la situazione degli appalti per la ricostruzione in Abruzzo da una parte è rimasta immutata, dall’altra ha visto un allontanamento degli interessi criminali da quel settore. Le due cose costituiscono peraltro due aspetti dello stesso fenomeno. Infatti – si legge nella relazione – la ricostruzione è ferma e i pochi cantieri aperti sono quelli destinati al risanamento dei condomini privati, che pure prestano il fianco allo svilupparsi della microcriminalità, essendosi verificati casi di ingiustificata estensione dei lavori pagati con soldi pubblici a danni non causati direttamente dal sisma, oppure di gonfiamento abnorme dei prezzi. 

ZdO

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