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Mafia e criminalità organizzata si aggirano in Abruzzo da anni e, forse, non tutti lo sanno. Ma la realtà è questa. E ora, probabilmente, vogliono far soldi con il verde.

Antonio Del Furbo

Tutto è partito dal quel famoso omicidio dell’avvocato Fabrizio Fabrizi del 1992 quando, precisamente, qualcuno (ma non tanti) cominciò a parlare dell’intreccio tra malavita, affari e tangenti.

Furono anni in cui, oltre all’avvocato, morì anche il boss napoletano Enrico Maisto e, poi, si susseguirono altri delitti eccellenti come l’omicidio della gioielliera Lalla Marziani, l’omicidio del giovanissimo Tavoletta. Tutti con un denominatore unico: tutti rimasti irrisolti o comunque con molti punti interrogativi.

Una situazione molto pesante tanto che la magistratura, i carabinieri e la polizia parlarono di “inquietanti segnali di una presenza sempre più massiccia dei grandi clan napoletani da non poter essere sottovalutati.” 

E poi c’era quell’avvocato Fabrizi che era al centro di una serie di contratti d’intermediazione d’affari e di procure giudiziarie che, in quel periodo, faceva tremare la Pescara-bene e lo stesso mondo politico e imprenditoriale locale.

Erano gli anni in cui si dovevano costruire i centri commerciali e si stavano decidendo le sorti di alcuni terreni di Sambuceto.

La Regione bocciò un progetto in cui doveva sorgere un mega centro commerciale. Fabrizi era il consulente del Comune di San Giovanni Teatino sul cui territorio doveva essere costruito il comprensorio. Affare che sfumò perché a questo progetto si preferì quello presentato da un’altra società a Città Sant’ Angelo.

La società che si aggiudicò la possibilità di costruire il maxi-market faceva capo al grande clan imprenditoriale di Vincenzo e Cristoforo Coppola. In passato, Cristoforo Coppola fu anche indiziato per associazione a delinquere di stampo camorrista.

Mentre il progetto di Sambuceto doveva sorgere su aree destinate al commercio al dettaglio per quello di Città Sant’Angelo sarebbe stato necessario attuare una variante al Prg.  

Nel corso degli anni altre tipologie di mafie si sono introdotte in Abruzzo come quella che si aggira nel vastese. 

Il 29 agosto del 2013 vennero sequestrati 32 chilogrammi di droga proprio a Vasto. L’hascisc era destinato alla riviera. La zona, come denunciammo ancor prima del sequestro, era sotto il controllo di veri e propri boss della criminalità che usavano albanesi e rumeni per la manovalanza. La droga fu trovata all’interno di un auto guidata da un albanese.  

La magistratura napoletana scoprì che una gran quantità di denaro del clan dei Casalesi è stato riciclato a Vasto grazie alla costruzione di un residence. Quell’inchiesta portò a 20 arresti, tra Aversa e Trentola Dugenta. A seguire, quindi, l’allarme lanciato dal presidente di Confindustria Chieti, Paolo Primavera:“Con rammarico constatiamo che le uniche problematiche analizzate in città riguardano la questione biomasse a Punta Penna, quando le preoccupazioni per l’intera collettività sono di ben altra natura e la tranquillità dei nostri cittadini è minacciata da attività illecite e criminali”. Poi gli arresti del 2012 con 63 ordini di custodia cautelare e i sequestri dei beni mafiosi nel 2008.

A gennaio 2012 i carabinieri del Comando Provinciale di Chieti, con altri colleghi di diverse altre regioni italiane, eseguirono, su delega della Procura della Repubblica di Vasto (Chieti), 63 ordini di custodia cautelare, di cui 48 in carcere, nell’ambito di un’operazione antidroga. Gli arresti furono effettuati in sei regioni italiane, ed in particolare L’Abruzzo, il Molise, la Puglia, la Campania, il Lazio e l’Emilia Romagna. I militari dichiararono che si raggiunse:«un preoccupante livello di criminalità nell’area del vastese», ritenuto:«un crocevia del traffico di stupefacenti nel centro Italia». Furono 86 gli arresti totali. Furono sequestrati 15 Kg circa di sostanze stupefacenti (eroina, cocaina ed hashish) un’ arma da fuoco clandestina , 15.000 euro in contanti ed altro materiale. 

E oggi?

Potrebbe essere che, in fondo, l’Abruzzo non sia così sconosciuto alla Mafia tanto che lei stessa voglia continuare ad utilizzarla. 

Tant’è che la Direzione investigativa antimafia, in un documento riferito al secondo semestre del 2016 presentato al Parlamento, citano la regione come tessera di un mosaico espansionistico della ‘ndrangheta.

In Abruzzo forte sarebbe la presenza di Ferrazzo di Crotone, con il capo ‘ndrina residente al confne con il Molise. Un gruppo che avrebbe fatto affari con il clan Marchese di Messina. 

“Le indagini hanno ben delineato come la cosca Ferrazzo volesse ricompattarsi in Abruzzo, arrivando, appunto, in un’isola felice per rinsaldare le proprie attività criminali”

Insomma, Mafia e ‘ndrangheta si spartiscono l’Abruzzo e la cosa non sorprende l‘ex procuratore aggiunto di Palermo, Leonardo Agueci: “cercano nuovi sbocchi ai propri interessi”.

Sarà un caso che nella Valle Subequana, proprio dove sono nati i roghi di questi giorni, siano presenti clan campani?

 Al momento la magistratura e la politica ci hanno detto che gli incendi sono dolosi. Vorremmo i nomi però.

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