Spread the love

Il magistrato simbolo della lotta alla mafia, Roberto Scarpinato, in un suo intervento in occasione della commemorazione delle vittime della strage di via D’Amelio del 19 luglio 1992, ha espresso seri dubbi sulla situazione della giustizia italiana. Scarpinato parla di settori deviati, di uomini che non hanno voluto mai, in tutta la storia repubblicana, che si fosse fatta luce sulle grandi stragi nazionali. Le future generazioni, a quanto pare, sono pronte a raccogliere tutto ciò che è stato fatto da magistrati come Falcone, Borsellino, Caponnetto e lo stesso Scarpinato. 

Sono rimasti in pochi quelli che all’interno del palazzo di Giustizia di Palermo, come spiega anche Scarpinato, hanno conosciuto personalmente Paolo Borsellino e con cui hanno condiviso “i patemi dei suoi ultimi mesi di vita” e con cui hanno attraversato “quella tragica stagione di sangue quando tutto sembrava perduto, come ebbe a dire Antonino Caponnetto in un momento di sconforto e di verità”. 

E l’uomo, prima che magistrato, Scarpinato si chiede dal profondo dell’animo quanto di questo vissuto sia rimasto e resterà nella memoria collettiva dei nuovi abitanti di questo palazzo, delle giovani generazioni di magistrati, di avvocati, di funzionari destinati a sostituirci”. Una riflessione che va al di là della verità processuale” a cui interessa quella storica. Una verità, purtroppo, scandida da una strategia stragistica con il solo intento di interferire “pesantemente sulla dialettica politica” e “sugli equilibri di potere nazionale” passando per progetti di colpi di stato fino ad arrivare “alla strage del rapido 904 per la quale è stato condannato all’ergastolo Giuseppe Calò, testa di ponte a Roma della mafia per i rapporti con la massoneria deviata e la destra eversiva”.

Allo stesso modo si è cercato, secondo Scarpinato, di interferire con lo Stato nel periodo ’92-’93. La vera storia dello stragismo italiano – chiarisce il magistrato – è rimasta in larga misura nell’ombra a causa dell’impotenza della giurisdizione a fare luce sulle occulte causali politiche delle stragi, sui mandanti eccellenti, e, talora, persino sugli esecutori materiali”. Indagini depistate puntualmente da esponenti dei settori deviati delle istituzioni tra i quali, ad esempio, i vertici del Sismi e Licio Gelli, capo della Loggia massonica P2.

Di quel periodo manca di capire chi ha voluto veramente la morte di Falcone e Borsellino. Una strage che colse di sorpresa persino i capi di Cosa nostra tenuti all’oscuro:Una accelerazione autolesionistica per gli interessi di Cosa Nostra, perché l’esecuzione pochi giorni prima della scadenza del termine dell’8 agosto 1992 entro cui doveva essere convertito in legge il decreto legge Falcone dell’8 giugno 1992 che aveva introdotto il regime detentivo speciale del 41 bis ed altre  incisive norme  antimafia, determinò – come era chiaramente prevedibile – il subitaneo sblocco ed il superamento  di tutte le resistenze dell’ampio e trasversale fronte parlamentare garantista  sino ad allora contrario alla conversione in legge di norme ritenute lesive di diritti fondamentali” aggiunge Scarpinato.

Dunque perché e soprattutto chi decise di ammazzare i due magistrati? Sicuramente qualcuno che aveva paura delle rivelazioni che Paolo Borsellino voleva fare “dinanzi alla Procura di Caltanissetta” su ciò “che aveva appreso riguardo il ‘gioco grande’ sotteso alla strage di Capacie a quelle in fieri, all’interno di un complesso progetto politico stragista che – così come era avvenuto in passato per altre stragi – vedeva ancora una volta interagire la mafia con altre entità esterne”. Forse Borsellino sapeva chi partecipò al conclave segreto  nella provincia di Enna dei massimi vertici regionali di Cosa Nostra? Forse c’era qualche politico?

E a chi si riferiva Francesca Castellese, moglie del collaboratore di giustizia Mario Santo Di Matteo, quando pregò il marito di non riferire ai magistrati i nomi degli infiltrati della Polizia implicati nella strage di via D’Amelio?

A distanza di 22 anni dalla strage di via D’Amelio – conclude Scarpinato – non sappiamo ancora che storia raccontare a noi stessi e ai nostri figli. Siamo privi della verità o di parti essenziali di essa. Un passato che, quindi, sembra destinato ad essere rimosso nell’oblio, oppure ad essere coperto sotto il sudario di una retorica commemorativa secondo cui gli unici responsabili del male di mafia sono sempre e solo stati i macellai di Cosa Nostra”.

Conclusioni pessimistiche che però lasciano uno squarcio di speranza quando una giovane avvocatessa gli invia un post che Scarpinato prontamente condivide sulla sua bacheca. Scrive la donna:”Esistono due sistemi giuridici paralleli, uno per la massa l’altro per i colletti bianchi: la vera mafia, non quella con la lupara, quella più subdola. Quella dei politici, dal deputato al sindaco di un piccolo paesino, dei medici, degli avvocati, delle banche, del giudice di pace, del carabiniere, del finanziere, del poliziotto, dei professori, degli appalti, dei procedimenti archiviati, degli esami di abilitazione, dei concorsi truccati…”.

La nuova generazione non solo non dimentica ma conosce il nemico e lo affronta con la ragione e lo studio.

 

Antonio Del Furbo

 

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Segnalaci la tua notizia