Spread the love

 Nel week end appena trascorso ho intervistato il professor Sgarbi nell’elegante cornice del circolo degli amici di Chieti, in occasione di una delle presentazioni del suo progetto editoriale Il Tesoro D’Italia.

 

http://www.youtube.com/watch?v=_1gUAdx4e2k&feature=youtu.be

Un giornalista che si appresta ad intervistare Vittorio Sgarbi, si sente inevitabilmente come un allenatore mediocre che ha in squadra un grande fantasista, un fuoriclasse del lignaggio di Roberto Baggio.

Può star lì con la lavagnetta degli schemi ad indicargli che deve fare il raddoppio di marcatura a scalare? No, non credo, penso che la cosa più opportuna da dirgli sia: “scendi in campo e fai quello che ti senti”.

Allo stesso modo un giornalista, privo di manie di protagonismo, non dovrebbe ingabbiare il prof. Sgarbi con domande stringenti, ma limitarsi ad accendere la telecamera e, per non essere proprio confuso con la tappezzeria del divano, a guidare la discussione come le sponde spigolose di un flipper guidano la libertà cinetica di una pallina.

Una di queste sponde è stata la domanda ispirata dalla realtà per cui moltissimi laureati in conservazione dei beni culturali, che rappresentano ne’ più ne’ meno gli addetti ai lavori della sua opera, dopo la laurea vengono strumentalmente rimpallati in master sottopagati, a volte gratuiti, in cui spesso lavorano soltanto per far ben figurare i soliti 4 professori col cappottino di jeans finché, dato che questi ragazzi hanno l’abitudine di mangiare tutti i giorni, alla fine devono ripiegare in occupazioni che nulla hanno a che fare con i beni culturali.

Il Professor Ainis, nell’introduzione al libro Il Tesoro d’Italia, parla della nostra penisola che impiega 470 mila lavoratori nel comparto culturale, meno della Germania e dell’Inghilterra che ne impiega circa 1 milione.

Ho chiesto se questi dati suscitano un rammarico nel professor Sgarbi e la risposta è stata che nulla di meglio ci si può aspettare se l’ignoranza è al potere, se la cultura non muove i nostri rappresentanti, a meno che l’invito a visitare un museo sia accompagnato da un pingue pacchetto di attrazioni parallele del genere: cena luculliana, qualche alleanza politica da compiere in sede e, soprattutto, orifizi disponibili contornati da donne.

Venendo da Pescara a Chieti, Sgarbi è rimasto inorridito dalla dislocazione periferica dell’Università Gabriele D’annunzio la quale, se fosse stata ancora ubicata al centro della città, avrebbe sicuramente permeato Chieti di quell’aura culturale giovane che ad oggi, effettivamente, manca.

Così siamo passati a parlare del suo progetto editoriale: “Il tesoro d’Italia” che non è una raccolta di saggi o un percorso per far conoscere opere poco note, bensì un vero e proprio volume di storia dell’arte, organizzato in un piano dell’opera molto più ampio che prevede altri 2 o 3 volumi; il testo presentato in questi mesi arriva fino al 1400, il prossimo volume partirà da Piero Della Francesca e arriverà agli allievi di Michelangelo, mentre il terzo libro, molto probabilmente, arriverà fino alla figura di Caravaggio.

Benché la materia commentata da Sgarbi sia la medesima che possiamo trovare nei libri di testo didattici, il distinguo si esplica nell’approccio al patrimonio artistico il quale, se nell’Argan è asettico, distaccato, con un’attribuzione di significato sul piano filosofico-teorico, quello di Vittorio Sgarbi è fisico, viscerale secondo la visione per cui: “l’opera d’arte mi da un piacere fisico, un’emozione ed è quella che io cerco di trasmettere al lettore”.

 

Marco Minnucci

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Segnalaci la tua notizia