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Un messaggio di pace, di amore, forse di perdono con un invito a stringersi tutti intorno alle famiglie distrutte dai due eventi drammatici.

“Era un ragazzo che aiutava tutti, stava nella Protezione civile. Si dedicava al prossimo.

Queste le parole del papà di Italo D’Elisa, il 22enne ucciso mercoledì 1° febbraio a Vasto, durante la trasmissione l’Arena di Massimo Giletti.

“Lui quel primo luglio è morto insieme alla ragazza che ha investito”.

Il padre di Italo, visibilmente provato e commosso, riferisce altri particolari dei dialoghi con il figlio:

“Italo diceva sempre che la notte non chiudeva gli occhi, aveva sempre quelle immagini davanti, quelle drammatiche immagini dell’incidente. Italo è stato anche ricoverato, non solo per il trauma cranico, ma anche perché non riusciva a riprendersi da quel brutto evento. Era un morto vivente. Avrebbe voluto fare qualcosa per la famiglia di Roberta”.

Poi l’appello:

“Io non odio nessuno è voglio che si preghi per queste famiglie distrutte”

Un appello accorato che mira a ridare serenità a una comunità che ha vissuto i due drammi e che, specie su Facebook, ha generato non poche divisioni.

Ma la domanda è che in molti si pongono è: l’omicidio poteva essere evitato? 

“Due giorni prima del delitto sono andata dallo specialista, uno dei tre da cui Fabio era in cura. Gli ho detto: mio figlio sta male, sta davvero molto male, ricoveratelo”.

A raccontare questo particolare è la mamma di Fabio Di Lello, la signora Lina. Forse se qualcuno le avesse dato retta quell’omicidio non ci sarebbe stato. Forse.

“Scusa di tutto, Italo. Eri solo un bambino. Ci dispiace tanto. Arrivare a ‘sto punto, nostro figlio… Non abbiamo il coraggio di andare al funerale. Lo vorremmo, ma forse non sarebbe giusto. Abbiamo mandato una corona di fiori” dicono Lina e Roberto Di Lello.

I genitori raccontano che lo specialista avrebbe risposto che Fabio non poteva essere ricoverato se non era lui stesso a richiederlo.

“Dopo la morte di Roberta saltava il muro del cimitero per restare con lei anche la notte. La mattina entrava prestissimo, coi muratori, e spesso ci restava tutto il giorno. Adesso si alzava alle 9 perché i farmaci lo facevano dormire, e si arrabbiava per il tempo perso. Ormai avevamo paura di lui, delle sue reazioni: non gli potevi dire nulla, si infuriava subito. Aveva smesso di lavorare, non faceva più nulla, diceva che i soldi non servono, pensava solo al cimitero”.

E quando il fratello lo invitò a Roma da lui, Fabio rispose:

“Ma tu sei pazzo, con mia moglie chi ci sta?”.

Per la questione della palazzina i genitori dicono di non essersi preoccupati perché secondo loro era un modo per Fabio di non occuparsi più di nulla. E riguardo la pistola aggiungono di non averlo saputo prima dell’acquisto:

“L’abbiamo scoperto ora anche noi. Qualche volta aveva detto “adesso mi compro la pistola”, mai che l’aveva fatto davvero. E lui di chiacchiere ne faceva tante”.

Un altro particolare riguardo il tragico incidente, lo rivela lo zio di Italo:

“Appena c’è stato l’incidente Italo non voleva andare via in ospedale: ha aspettato fino alla fine di sapere le condizioni di salute degli altri. Poi è stato trasportato all’ospedale.”

E precisa:

“Lui ha perso il lavoro, è stato sospeso dalla Protezione civile. Quando leggeva delle cose che lo riguardavano veniva da me e mi chiedeva consigli. Io la rassicuravo sempre dicendogli che la verità e la giustizia avrebbero fatto il loro corso”. 

La giustizia, appunto, quanto c’entra in questa vicenda?

“Non abbiamo colpe” ha sottolineato il procuratore capo della Repubblica presso il Tribunale di Vasto , Giampiero Di Florio. 

“La morte di Roberta è datata 1 luglio 2016; il 12 ottobre, dopo un’attività di indagine completa, in meno di 110 giorni, abbiamo fatto l’avviso di conclusione delle indagini. Dopo quella data c’è un passaggio obbligatorio previsto per legge, venti giorni nell’ambito dei quali l’indagato può esercitare una serie di facoltà; noi abbiamo esercitato l’azione penale e in meno di quattro mesi è stata avanzata la richiesta di rinvio a giudizio. Grazie ai tempi del tribunale di Vasto siamo riusciti a ottenere l’udienza preliminare il 21 febbraio 2017”.

Per quanto riguarda la custodia cautelare, il procuratore spiega che non c’erano elementi per poter condurre D’Elisa in carcere:

la velocità non era eccessiva: con un limite di 50 km orari il ragazzo andava a 62. Non aveva assunto sostanze stupefacenti o alcoliche, era incensurato, si è fermato per prestare i primi soccorsi, nei limiti del possibile”.

Per il procuratore, comunque, non c’erano elementi che facessero pensare a delle tensioni e a un epilogo del genere. Lo zio di Italo però non è d’accordo: 

“C’era stata la fiaccolata, gli striscioni e persino un gruppo Facebook chiuso con 2000 partecipanti che inneggiava alla giustizia”.

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