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Nella perenne crisi mondiale che ci stringe nella morsa e che, spesso, uccide qualcuno c’è anche chi continua a mangiarsi la pagnotta quotidiana senza avere il benché minimo timore del futuro. Antonio Del Furbo

Manco a dirlo sono sempre loro, i nostri amatissimi politici. Quelli che non ci dormono la notte per fare i nostri interessi e, un pochino, anche i loro. La comunità e il bene pubblico prima di tutto. Poi, giusto per compiacere il proprio ego, comparsate in tv con truppe cammellate al seguito per sentirsi dire quanto si è bravi, belli e intelligenti.

Fatto sta, però, che i nostri dipendenti, quelli che per governarci bevono del nostro sangue, pare non siano molto propensi a diffondere le loro buste paga e a dirci quanto ci costano. A scoprirlo, tanto per cambiare, qualche giornalista che la notte non dorme e se dorme fa sogni strani come Sergio Rizzo del Corriere.

Rizzo racconta, ad esempio, che il governatore della Regione Abruzzo, Luciano D’Alfonso, guadagna più di Matteo Renzi. Big Luciano, ogni mese, porta a casa 13.800 euro esentasse e Matteo Renzi solo 9.566,39 euro.

Una miseria per il Matteuccio nazionale. 

Insomma, a nulla pare sia servito il tetto imposto dal governo Monti ai compensi dei presidenti per evitare scandali come quello del consiglio regionale del Lazio. Infatti la legge fissa a 11 mila euro lordi mensili la retribuzione “onnicomprensiva” dei consiglieri regionali che arriva a 13.800 euro nel caso dei governatori.

Guarda caso tutte le Regioni hanno fatto la corsa all’adeguamento degli stipendi innalzandoli a quel tetto. I creativi delle Regioni italiane hanno pensato bene di dare una sforbiciatina allo stipendio ma contemporaneamente un aumentìno ai rimborsi. “Per evitarlo – spiega Rizzo – sarebbe bastato fissare un tetto agli emolumenti netti, anziché al lordo”.

Il big della Regione Abruzzo è passato da 8.450 a 9.748 euro netti al mese. E con lui anche quello della Basilicata, salito da 9.221 a 9.790. Anche le rosse Umbria e Toscana, forse in nome del popolo e della rivoluzione proletaria, sono passate da 7.604 a 8.921.

C’è crisi caro Lei. E bisogna adeguarsi. 

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