Era stato arrestato un anno fa in pompa magna e con giornali e tv che celebravano le gesta eroiche di un pm. Oggi come allora, il sindaco raccoglie il gradimento dei concittadini che lo rivogliono al proprio posto.
di Antonio Del Furbo
Era il 2 settembre del 2017 quando Giuseppe D’Angelo, su ordine della procura di Avezzano, finì agli arresti con la pesante accusa di aver intascato tangenti per 10mila euro. Ovviamente, nemmeno un mese dopo, D’Angelo tornò in libertà. Ma, intanto, il danno era fatto e la scintilla aveva azionato il solito “cortocircuito” tra giustizia e giornali. Il “mostro” fu sbattutto in prima pagina e tutte le testate rilanciarono, genuflesse al potere giudiziario, la notizia della “tangentona”.
Nel clamore mediatico e nella confusione generale furono tirati dentro il presidente della Regione, Luciano D’Alfonso, e gli ex sindaci dell’Aquila e di Avezzano (L’Aquila), Massimo Cialente e Giovanni Di Pangrazio. Peccato che, anche questi nomi, erano frutto di fantasia non si sa bene di chi visto che non risultavano essere indagati. I nomi vennero tirati in ballo perché in alcuni colloqui, intercettati dagli investigatori, gli imprenditori Antonio Ruggeri di Avezzano e Sergio Giancaterino di Penne (Pescara), li citavano. E nell’inchiesta ci finì dentro, appunto, anche il sindaco di Casacanditella (Chieti), Giuseppe D’Angelo.
Si parlò di un sistema in una quindicina di aziende partecipavano a gare già compromesse grazie ad accordi corruttivi con amministratori locali e pubblici funzionari.
“Ma affari di che? Non faccio affari con nessuno, figuriamoci nella Marsica. Ruggeri lo conosco, lui aiutò due famiglie in difficoltà attraverso un alto prelato di Roma. Secondo me millanta. Per chi tira fuori il mio nome casca la denuncia”. Così al Centro commentò l’accaduto il sindaco dell’Aquila Massimo Cialente.
La messa in scena non era ancora finita però. Sui giornali, tanto per cambiare, arrivarono le trascrizione delle intercettazioni.
“Abbiamo dimostrato in maniera inconfutabile, attraverso prove testimoniali raccolte in indagini difensive e documenti, che il sindaco”, affermò Luciani, uno dei legali di D’Angelo, “non ha mai percepito né maneggiato neanche un centesimo. Quelle che per l’accusa sono tangenti, non sono altro che erogazioni liberali in favore di terze persone”. E, infatti, il riesame dell’Aquila, chiamato a decidere sull’istanza di revoca degli arresti domiciliari, rimise in lbertà il sindaco di Casacanditella.
“Dopo 23 giorni di ingiusta detenzione domiciliare torno libero” scrisse D’Angelo in un lungo post su profilo Facebook. “In questi 23 giorni ho perso mia moglie dopo una lunga malattia, ho perso, o meglio è stata limitata, la mia libertà senza un vero e reale motivo. Qualcuno già mi vedeva ‘a sfogliare i tramonti in prigione’, come il protagonista di una canzone di De Andrè.Torno libero, ma mi è stata applicata la misura dell’interdizione per un anno dallo svolgimento di qualsiasi pubblica funzione o servizio, il che mi precluderebbe l’esercizio della carica di sindaco. Dico mi precluderebbe in quanto l’art. 289 cpp vieta l’applicazione della predetta misura ‘agli uffici elettivi ricoperti per diretta investitura popolare’, quale appunto quello di primo cittadino. Si chiama divisione dei poteri per cui il potere giudiziario non può vietare l’esercizio del potere esecutivo a chi è stato democraticamente eletto dal popolo. Tale fondamentale principio dello stato di diritto risale al 1600, a Montesquieu ed è rimasto immutato nel corso dei secoli. Evidentemente qualcuno lo ha dimenticato o, peggio ancora, finge di dimenticarlo”.
E questa mattina, la comunità di Casacanditella è scesa in piazza per chiedere a gran voce la riabilitazione del sindaco
“E’ inammissibile che il potere giudiziario si sostituisca, creando e non applicando le leggi, al volere e al potere elettivo del popolo” ha dichiarato il sindaco di Rapino (Ch), Rocco Micucci, accorso alla manifestazione. “Perciò – ha aggiunto – non condivido la misura ‘dell’esilio’, di fatto, applicata al collega Sindaco di Casacanditella. L’ultimo mandato in esilio in Italia è stato il Re d’Italia Umberto II, che fu mandato in esilio dal popolo attraverso i suoi rappresentanti. Ma erano altri tempi. Finchè vige la presunzione d’innocenza, solo il popolo può decidere, con una votazione, se puoi fare il Sindaco o no.”
Ancora più duro l’intervento dell’ex sindaco di Fara San Martino, Antonio Tavani, esponente regionale di Fratelli d’Italia:“ormai la certezza del diritto e della norma non esiste più in Italia. Esiste ciò che pensa, vuole, scrive e detta il giudice di turno. Ormai i giudici da noi sono i creatori ancora prima degli interpreti della norma. E a chi tocca tocca, nella arbitrarietà più totale. Adesso è toccato al Sindaco e amico di Casacanditella Giuseppe D’Angelo. Ma nessuno è immune. I provvedimenti presi a suo carico, senza voler entrare minimamente nel merito del giudizio ancora, e sottolineo ancora in corso, sono abominevoli. Sovvertono quella che è una volontà popolare, perchè chi è eletto, può essere rimosso dalla carica solo da un’altra espressione della volontà popolare, se non c’è un giudizio definitivo sulla propria condotta.”
“Sono stato 23 giorni ai domiciliari – ha aggiunto D’Angelo – perché avrei potuto reiterare il reato e aumentare la mia popolarità. Ad accrescere la mia popolarità sono stati invece i giornalisti o meglio i ‘giornalai’, che mi hanno sbattuto per 5 giorni sulla prima pagina dei giornali descrivendomi come il ‘deus ex machina’ che gestiva e pilotava gli appalti”.
E se la politica si riappropiasse per sempre della propria dignità ricordandosi, per una volta, che il voto popolare è la più grande conquista della democrazia?