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Quando ho ascoltato le parole di Mario Draghi durante la diretta non ho creduto alle mie orecchie. A quel punto, con pazienza, ho atteso che la sintesi del concetto espresso dal presidente venisse trascritta in un tweet e, solo a quel punto, mi sono reso conto che avevo compreso bene.

Antonio Del Furbo

“Draghi: Our mandate is neither growth nor employment but price stability”. È questa la frase pronunciata dal presidente della Bce durante il consiglio direttivo della Banca Centrale Europea.

Il nostro mandato non è né crescita né occupazione, ma la stabilità dei prezzi”. Insomma, a Draghi e alla Bce non interessa se in Europa ci sono imprese che producono, ne tantomeno se le stesse aziende creando ricchezza danno posti di lavoro. Niente di tutto questo. Per Draghi, Bce e qualche migliaio di finanzieri le priorità sono altre come, ad esempio, mantenere stabile i prezzi. Certo, mi si obietterà che poi, in fondo, il ruolo della Banca centrale è anche quello di tenere a bada i prezzi nell’area euro al fine di preservare il potere di acquisto della moneta unica.

Peccato, però, che la Bce è diventata anche altro. È diventata soprattutto un’istituzione politica senza mandato, che può sostenere o far cadere i governi nazionali imponendo decisioni tecniche. Quante volte Draghi ha messo bocca sull’Italia? Vi ricordate il governo Monti che ha imposto lacrime e sangue? E la famosissima legge Fornero che l’ha voluta? 

Io ricordo benissimo quel 5 agosto del 2011 quando il presidente dell’Eurotower Trichet e il governatore di Bankitalia Mario Draghi inviarono una missiva al governo di Silvio Berlusconi. Mentre lo spread continuava a salire e le agenzie di rating ci declassavano, al governo di Roma arrivò la missiva rimasta, tra l’altro, segreta fino al 29 settembre dello stesso anno. Il decreto legge approvato dal consiglio dei ministri il 13 agosto, una manovra bis da 65 miliardi che andava a sommarsi a quella da 80 miliardi decisa appena un mese prima, era stata scritta sotto dettatura della Bce. fu chiesto esplicitamente al governo di anticipare il pareggio di bilancio al 2013, anziché al 2014.

Anche la legge di Stabilità e il decreto legge 201, che il nuovo presidente del Consiglio Mario Monti ribattezzò “Salva Italia”, non facevano che attuare altre parti di quel dettagliato elenco di richieste contenuto nella lettera. Intendiamoci: nei tre capitoli racchiuse nelle cartelle di Trichet e Draghi c’erano anche proposte condivisibili.

Nel primo capitolo si chiedeva la “piena liberalizzazione dei servizi pubblici locali e dei servizi professionali” e il disboscamento della giungla delle oltre 7 mila società partecipate da Regioni, Province e Comuni che insieme perdevano 2,2 miliardi all’anno. Dunque, la messa sotto stretto controllo dell’indebitamento delle Regioni e degli enti locali. Tutte materie a cui anche il governo Renzi ha cercato di mettere mano ma, come nel caso delle lobby dei tassisti, con scarsi risultati. 

La domanda, quindi, è: la Bce fa politica? Parrebbe proprio di sì. E se alla Bce non interessa creare lavoro e occupazione, perché gli Stati membri, ad esempio l’Italia, eseguono le direttive alla lettera?

L’articolo 130 del Trattato, recita:

“Né la BCE, né le BCN, né i membri dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni o dagli organi dell’Unione europea, dai governi degli Stati membri o da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni e gli organi dell’UE nonché i governi degli Stati membri sono tenuti a rispettare tale principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della BCE”.

Ecco, io sono un po’ preoccupato se banchieri e finanzieri impongono a un governo eletto democraticamente azioni politiche.

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