Foggia, viaggio nel Comune dove la mafia comanda
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Tutto parte dalla notte di Capodanno 2021. C’è un video, come racconta un’inchiesta di Repubblica, dove comincia l’abisso italiano.

Foggia. C’è un uomo sul balcone di casa e il cielo è illuminato da fuochi d’artificio coloratissimi. L’uomo ha in mano una pistola che, si scoprirà poi, è a salve. L’uomo spara. Ride, felice. L’uomo del balcone è il presidente del consiglio comunale di Foggia. Si tratta di una città con “la più importante emergenza criminale italiana, in questo momento”, dice il Procuratore nazionale antimafia, Federico Cafiero de Raho. La città dove comanda una mafia che non ha un nome e che, fino a poco tempo fa, nelle sentenze giudiziarie veniva definita “immaginata più che realizzata”, perché poco più che “faida di pastori”.

“Una mafia che ha ucciso per sbaglio, così hanno detto, mio marito e mio cognato, Aurelio e Luigi, trucidati come animali, a colpi di kalashnikov, una mattina di estate, mentre andavano a lavorare”, dice Arcangela Luciani, moglie di Aurelio e cognata di Luigi, i due agricoltori uccisi nella strage di San Marco in Lamis, il 9 agosto del 2017. I morti ammazzati erano ‘colpevoli’ di essere nel posto giusto, nel momento sbagliato, quando un commando, ancora sconosciuto, trucidava il boss Mario Luciano Romito e il suo autista.

Politica

Il presidente del consiglio comunale di Foggia si chiama Leonardo Iaccarino. Di mestiere è un vigile del fuoco. E, prima di quel video, era stato un uomo molto potente. Eletto con le liste di centrodestra che appoggiavano il riconfermato sindaco, Franco Landella, alle elezioni regionali aveva strizzato l’occhio al centrosinistra di Michele Emiliano. Iaccarino puntava alla Regione, al dopo Landella, a un seggio in Parlamento. E invece, poche settimane dopo che quel video di Capodanno è finito in manette con diverse accuse, tra cui corruzione e peculato.

Franco Landella era invece il sindaco. Potente ma mai però come suo suocero, Massimino Di Donna, in politica da sempre. Di Donna svolgeva il suo consiglio comunale ai tavolini del bar: decideva lì assunzioni e futuro della città. Landella è uomo di centrodestra: prima con Fitto, poi contro Fitto. Prima con Berlusconi, poi contro Forza Italia. Le ultime foto sono della scorsa estate. Era abbracciato a Matteo Salvini. “La Lega ha un sindaco a Foggia” diceva il Capitano. Qualche mese dopo è stato arrestato. La giunta è caduta. Ma i foggiani non andranno a votare. Il Comune è stato sciolto dal Viminale per infiltrazioni mafiose.

La relazione

Il ministro degli Interni, Luciana Lamorgese, ha firmato lo scioglimento. Nell’agosto 2017, l’allora procuratore della Distrettuale antimafia, Giuseppe Volpe gridò: “Non ho nemmeno la benzina per mandare il mio pm sul luogo dell’omicidio! Dov’è lo Stato?”. Lo Stato rispose: il ministro degli Interni dell’epoca, Marco Minniti, inviò uomini e risorse. Poliziotti, carabinieri, finanzieri. Nacquero i Cacciatori di Puglia, per battere a tappeto il promontorio del Gargano, storico e impenetrabile rifugio di latitanti. Poco dopo, arrivò nel capoluogo, come Prefetto, Raffaele Grassi. Ex capo del Servizio centrale della Polizia, cacciatore di mafiosi.

L’esordio fu convocare in ufficio i rappresentanti degli imprenditori. Grassi disse: “Lo so che pagate. Pagate tutti. Ora è arrivato il momento di dire da che parte state: con lo Stato o contro lo Stato”. Qualche settimana dopo, firmò le prime interdittive antimafia contro alcuni di quegli imprenditori che gli si erano seduti di fronte. “Queste interdittive hanno rotto il cazzo”, avrebbero gridato, intercettati al telefono, alcuni degli imprenditori vicini ai clan.

Da qualche mese, Grassi ha lasciato Foggia, perché il tempo era finito. E al suo posto è arrivato un altro Prefetto: Carmine Esposito. Capo della mobile a Napoli. E queste sono le prime parole che ha scritto su Foggia, da Prefetto. Nella relazione di scioglimento del comune. “Il Comune di Foggia si inserisce in un intreccio di sangue e interessi con un’inaudita compiacenza per le imprese ritenute riconducibili alla mafia. Una compiacenza che sconfina nell’ingerenza della Giunta, organo di indirizzo politico-amministrativo, in attività specificatamente gestionali e in interpretazioni contrattuali ingiustificate se non in virtù di un inevitabile metus, che si crea nelle pubbliche amministrazioni e nei concorrenti privati, quando in una vicenda amministrativa si inserisce un operatore economico, percepito come contiguo a soggetti mafiosi”.

“Il dato impressionante è certamente rappresentato dal fatto che in tutte le ditte o nelle vicende amministrative oggetto di disamina si registra, quale denominatore comune, la presenza, diretta o indiretta, degli esponenti della criminalità organizzata più e più volte segnalati, o di persone a loro vicine. La soglia di attenzione sulle cautele antimafia è stata bassa così da istituzionalizzare un favore per imprese collegate alla criminalità organizzata, perseguito anche attraverso un ingiustificato frazionamento dei contratti. L’amministrazione comunale non ha effettuato alcun controllo del territorio, in particolare nel contrasto all’occupazione abusiva di alloggi popolari da parte di soggetti appartenenti alla criminalità mafiosa. Si tratta di un generalizzato atteggiamento di tolleranza, oggettivatosi in deroghe ingiustificate all’ordine cronologico nella trattazione delle pratiche, che hanno consentito ad esponenti di famiglie mafiose l’uso ‘indisturbato’ degli alloggi popolari, a discapito dei cittadini aventi diritto”.

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A governare è stata una “logica ‘spartitoria’ tra vari soggetti, contigui o organici alla criminalità organizzata. Logica avallata proprio dall’atteggiamento quantomeno complice dell’amministrazione comunale che ignora le cautele antimafia, consentendo ad imprese ‘mafiose’ di essere potenziali veicoli di penetrazione nell’economia legale, in un contesto fortemente segnato dalla presenza della ‘mafia degli affari’.

Nel complesso l’amministrazione comunale appare in più occasioni testimone passiva, in altre protagonista. Non ci sono state iniziative per rimuovere le situazioni di infiltrazione malavitosa, né si fa ricorso, con la dovuta efficienza, ai rimedi che pure offre la normativa antimafia. Le situazioni descritte hanno indotto e consolidato vantaggi diretti di appartenenti alla consorteria mafiosa, in alcuni casi con una sorta di ‘privatizzazione’ dei servizi pubblici, sottratti con audaci procedimenti, alla libera concorrenza e all’economia sana”. In conclusione, si fa riferimento ad un “quadro indiziario che, a prescindere dalla eventuale valenza sul piano penale dei singoli episodi, denota un livello preoccupante di compromissione della regolare funzionalità dell’ente. La maggior parte dei settori comunali è apparsa inadeguata e afflitta da prassi operative spesso avulse dall’attuale quadro normativo”. 

L’estratto: i protagonisti

“Il dottor Franco Landella è stato eletto sindaco del comune di Foggia nelle consultazioni elettorali del 2014. E riconfermato nella carica nelle elezioni del 2019. In tempi recenti egli è stato schierato con il partito Lega Salvini. Il sindaco di Foggia, già deferito nel 2004 per minaccia e violenza a pubblico ufficiale, nel corso della campagna elettorale per le elezioni regionali della primavera 2010, ha annoverato, tra i suoi più fattivi sostenitori, alcuni componenti della famiglia Piserchia, noti pregiudicati in maniera di traffico di stupefacenti. La moglie del sindaco, Daniela Di Donna, è cugina di primo grado di Claudio Di Donna, detto Setola, coinvolto dal 2009 in vicende penali per associazione a delinquere”.

“La consigliera comunale Erminia Roberto ha rapporti con Leonardo Francavilla, pluripregiudicato, appartenente all’omonima famiglia mafiosa. Esiste la registrazione di una conversazione, avvenuta il 29 novembre 2019, nel corso di un incontro nel comune di Foggia tra il Francavilla e la Roberto. Il Francavilla, che si dichiara espressamente appartenente alla ‘malavita’, minaccia la Roberto di rivelare l’attività svolta, su suo impulso, per procacciare voti all’attuale amministrazione, facendo riferimento alla concessione di benefici economici”. “Se noi siamo mafiosi – dice Francavilla – la mafia è la politica. Poi veniamo noi”.

“La consigliera comunale Liliana Iadarola è la convivente di Fabio Delli Carri, condannato a quattro anni di reclusione per tentata estorsione e rapina. Nel 2015 per evasione. La vicenda estorsiva era legata al tentativo di imporre l’acquisto di mozzarelle “prive di marca”, prodotte dal caseificio Iadarola, appartenente al padre della consigliera”.

“Il consigliere comunale Bruno Longo è il candidato più votato tra i consiglieri comunali. Risulta deferito all’autorità giudiziaria nel 1976 per porto abusivo e detenzione di arma e nel 2003 per associazione di tipo mafioso. Attività di indagine hanno evidenziato contatti tra il consigliere ed esponente della famiglia Moffa, tutti gravati da associazione mafiosa. I Moffa sono cugini in oltre diretti di Antonello Francavilla, marito di Elisabetta Sinesi, figlia di Roberto, capo indiscusso della batteria foggiana. Longo viene arrestato il 10 febbraio 2020 per induzione indebita. Nei colloqui intercettati, oltre a dimostrare un ruolo dominante nel sistema tangentizio, manifestava il forte disappunto per l’attività di prevenzione antimafia, condotta dal Prefetto: “Queste interdittive ci hanno un poco rotto il cazzo”.

Gli affari

La mafia avvicinava i politici. Eleggeva gli amici. E si prendeva i servizi. Tutti. “Sono state rilevate” si legge nella relazione che ha portato allo scioglimento del consiglio, “sistematiche illegittime procedure di aggiudicazione. Ma – e questo risulterà ancor più grave quanto incontrovertibile – la circostanza che i titolari (o i prossimi congiunti, affini o sodali) delle società che erogano i servizi risultino collegati, direttamente o indirettamente, al mondo della criminalità organizzata foggiana, in un inquietante intreccio tra gestione del ‘bene pubblico’ e il mondo criminale del malaffare”. In particolare vengono individuati otto settori oggetto dell’aggressione mafiosa: la gestione degli impianti dei semafori; la videosorveglianza in città; l’accertamento e la riscossione dei tributi; i servizi cimiteriali; la gestione dei bagni pubblici; il servizio di manutenzione del verde pubblico, quello del personale ausiliario nelle scuole comunali per l’infanzia. E, infine, gli alloggi popolari.

Sui semafori, la storia si è accesa sulla Segnaletica meridionale, società colpita da interdittiva antimafia che, di fatto, gestisce il servizio da più di dieci anni.

La commissione accusa il Comune di una serie di “coraggiose semplificazioni amministrative”, per favorire un’impresa che avrebbe dovuto invece essere in black list. “Appare singolare – scrivono – che, a distanza di due giorni, si susseguano due atti amministrativi a firma dello stesso dirigente, in cui si conferma per due volte la risoluzione del contratto con l’impresa interdetta ma si conferma contemporaneamente la prosecuzione del servizio”. Insomma, via il contratto ma continuano a lavorare. “Una vicenda amministrativa che conferma una malcelata difficoltà nell’amministrazione comunale di Foggia ad affrancarsi dal rapporto milionario con un’impresa mafiosa”.

Emblematica la storia che riguarda la videosorveglianza. “Viene vista come un problema per chi preferisce operare nell’ombra” dice un testimone alla Procura. “In questo caso viene individuata un’azienda – che si occupa di tutto: dalle telecamere al movimento terra, lavoro che viene considerato fortemente a rischio, perché il settore è assai infiltrato – a cui vengono affidati una serie di contratti, senza bando. In modo tale da non “costringerla” a presentare la certificazione antimafia.  Una certificazione che difficilmente avrebbe potuto avere: dagli accertamenti è risultato che l’amministratore e il socio di maggioranza della ditta (la Goss) “sono legati da forti rapporti economici con Alessandro Carniola”, al centro di diverse inchieste. E “destinatario – si legge ancora negli atti – di interdittiva come amministratore della ‘Pepe Games’, attiva nel campo delle scommesse e dei giochi”.

Adriatica Servizi

Sui tributi e sul cimitero la storia  è quella del rapporto con la Adriatica servizi, società oggetto di interdittiva antimafia, con la quale il Comune ha però rapporti anche dal periodo precedente all’amministrazione Landella, quando Foggia era guidata dal centrosinistra di Gianni Mongelli. Singolare è anche la  situazione delle cooperative che gestiscono il servizio dei bagni pubblici dove, si legge nella relazione, “il comune di Foggia ha utilizzato una procedura in frode alla legge, che nel nome giustifica la deroga ai principi di concorrenza ma nei fatti orienta l’affidamento a soggetti determinati. Appare piuttosto palese – scrivono dal Ministero – l’intento di “accontentare” le cooperative sociali destinatarie dell’affidamento. Il disordine amministrativo, anche in questo caso, ritorna a vantaggio di imprese adiacenti ad ambienti mafiosi”. Nelle cooperative, è stato accertato, lavorano soggetti con precedenti di omicidio, droga, furto aggravato dall’associazione mafiosa.

Dunque, la mafia mette gli occhi sulla città, con le telecamere. Prova a gestire i tributi. I cimiteri. E pezzi di esercizi cittadini. E poi punta anche su due elementi di core business: le scuole. Case popolari. D’altronde, ricorda la stessa commissione, le organizzazioni mafiose intervengono come “società di welfare” laddove lo Stato non riesce ad arrivare con i servizi sociali.

La notte di Dodo

Campioni d’Europa. L’Italia è in festa. A Milano, a Genova, in Sicilia e a Roma. Scendono in piazza anche a San Severo. Matteo Anastasio ha 42 anni. Qualche precedente penale, una condanna per spaccio di stupefacenti, qualche anno di galera sulle spalle. Matteo festeggia a bordo del suo scooter. Sul motorino con lui c’è Dodo, il nipote di 6 anni. Finché due persone a bordo di una moto li affiancano. Indossano il casco integrale, che qui è un biglietto da visita: quello da killer. Non gli danno nemmeno il tempo di pensare: scaricano una dozzina di colpi di pistola, calibro 7.65. E lasciano Anastasio per terra. Dodo perde molto sangue. Va in coma. Si salverà.

Roberto Rossi è il nuovo procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Bari. Sta indagando su quella notte. “Spesso ci chiedono: siete preoccupati? Io direi che siamo occupati. Nel senso che oggi c’è la reazione dello Stato. C’è l’attenzione investigativa e delle istituzioni a un territorio che ha bisogno di noi. Se calasse questa attenzione, allora sì, mi preoccuperei. Ma c’è invece un altro tema che mi preoccupa: la politica non è sufficientemente attenta. Hanno sparato a un bambino: cosa diavolo deve succedere ancora per indignarsi? Gridare, denunciare. Dov’è la parola mafia nei discorsi della politica? Nazionale e locale. Il silenzio in questi anni è stato il miglior alleato dei mafiosi. Parlare è necessario, anche se può significare perdita di consenso nel territorio. È inaccettabile che si spari a un bambino per strada. E lo è altrettanto che non si venga qui per strada a dire che, no, non si può”.

Alla vigilia di Ferragosto a San Severo hanno sparato ancora. E a morire è stato Luigi Bonaventura, un pregiudicato di 32 anni.

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