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Chi l’avrebbe mai detto che l’Unione Europea potesse esprimere qualche dubbio in merito alla distribuzione delle frequenze tv digitali? Tutti tranne gli italiani.

«La Commissione europea ha espresso “preoccupazioni” su varie questioni relative alle regole sull’asta per l’attribuzione delle frequenze televisive del digitale terrestre, e in particolare “sulla qualità dei lotti messi all’asta». La dichiarazione è stata riportata da Antoine Colombani, portavoce del commissario Ue alla concorrenza Joaquin Almunia. Ecco un’altra bella figura dell’Italia. Mentre siamo tutti concentrati sul nuovo esecutivo e sulle facce di bronzo che nei prossimi mesi continueranno a rappresentarci nel mondo, l’Europa continua a ridere di noi attraverso l’ennesima “truffa” tutta nostrana sulle frequenze tv. Il digitale terrestre, tecnologia che risultò già vecchia al momento dell’attuazione, fu imposta da quel genio del ministro delle Telecomunicazioni dell’epoca Maurizio Gasparri. Milioni di euro pubblici per salvaguardare interessi privati. Quelli di Silvio Berlusconi. Se parte di quei fondi fossero stai destinati alla banda larga avremmo avuto due effetti immediati: risparmio di fondi da poter reinvestire in altri ambiti (ad esempio il sociale) e un aumento di posti di lavoro nell’editoria online. Nessun sindacato e nessun partito fece barricate per la questione delle frequenze tv perché da una parte c’era completa ignoranza sulla questione, dall’altra c’era un’intera classe politica che si stava spartendo poltrone e Consigli d’amministrazione in tutti i settori strategici ed economici. Ad oggi ci ritroviamo con un’infinità di canali televisivi in mano agli stessi soggetti e con in banca notevoli somme di denaro prelevate direttamente dalle nostre tasche. Non solo sono stati stanziati fondi per agevolare l’acquisto dei decoder per la ricezione dei canali, ma sono stati finanziati da Europa, Italia e Regioni gli adeguamenti di tutte le tv alla trasmissione digitale. Non dimentichiamo, inoltre, che a questa somma ingente di denaro vanno aggiunti i fondi pubblici per l’editoria. Lo Stato ha speso nel 2011 circa 80 milioni di euro in fondi per l’editoria. Soldi girati ai giornali che riescono a stare in piedi senza misurarsi con il mercato. In questo mare di soldi pubblici ci sguazzano specialmente le tv locali che prendono soldi un pò dovunque: oltre che dai fondi per l’editoria anche da speciali a pagamento e servizi giornalistici. Una denuncia che fu fatta tempo fa da Enrico Mentana ma ancor prima da quotidiani online come Primadanoi.it. Il caso scoppiato in Emilia è stato emblematico: politici che pagavano per andare in tv. La prassi la conosciamo un pò tutti ma chi dovrebbe essere realmente informato sull’argomento è il telespettatore che spesso ignora tutto ciò. Le associazioni di categoria, per non parlare dell’Odg, fanno orecchie da mercante sull’argomento perché anche i loro rappresentanti, spesso, sono coinvolti. Ancora alle prese con il terremoto del passaggio al digitale terrestre e colpite duramente dalla crisi, le emittenti locali chiamano in causa la politica e la magistratura. Entro il 2020, secondo l’Aeranti Corallo, le frequenze tv passeranno dalle 54 dell’era analogica a 34 future. E a farne le spese potrebbero essere proprio le solite tv locali (come è già accaduto con l’esproprio dei canali per l’asta LTE per la telefonia mobile). Da qui la richiesta di garanzie per mantenere (come stabilisce la legge) un terzo delle frequenze alle emittenti locali, e la proposta di destinare alle stesse tv regionali i 3 lotti esclusi dall’asta delle frequenze (ex beauty contest) definita dall’Agcom. «Una parte delle frequenze siano rese disponibili per risolvere le criticità del settore locale» afferma Aeranti-Corallo. Ovviamente l’unica ad essere esclusa da questa situazione è l’editoria online, costretta a subire la concorrenza sleale delle piattaforme televisive sul web. Perché bisognerebbe salvaguardare i posti di lavoro di certi “apparati” e non destinare fondi per nuove piattaforme web dinamiche e con idee vincenti? La politica delle chiacchiere prima di tutto si fa anche in Abruzzo. Scommettere sui giovani e sulle nuove tecnologie ma poi ecco chi finanziano: Rete 8, Tv Sei, Telemax, Antenna 10, telemare, Teleponte, Trsp, Tvq, Telesirio, TvUno, Antenna 2, Tele A, Onda Tv, Tvt e Tv Atri. Ovviamente dei finanziamenti dati a queste emittenti non c’è traccia da nessuna parte. Questi carrozzoni, mantenuti in piedi dalla politica, si dividono in due categorie: televisioni di partito e televisioni a conduzione familiare. Sono 15 soggetti che potrebbero essere chiuse domattina e permettere a persone che meritano di sviluppare l’editoria abruzzese. Ma la politica è sorda e presuntuosa.

 

di Antonio Del Furbo

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