Un processo senza precedenti svela l’intreccio tra i clan mafiosi in Lombardia: infiltrazioni nell’economia legale, minacce ai magistrati e un’aula bunker blindata.
Hydra, la maxi-alleanza criminale alla sbarra: a Milano processo a 143 imputati tra mafia, camorra e ’ndrangheta. Martedì mattina, nell’aula bunker del carcere di Opera a Milano, si è aperto uno dei processi più imponenti mai celebrati nel Nord Italia per crimini di mafia. Sul banco degli imputati ci sono 143 persone, ritenute coinvolte in un cartello criminale che unisce esponenti della ’ndrangheta, della camorra, di Cosa nostra e di altri gruppi minori. Il procedimento prende le mosse dall’operazione “Hydra”, un’inchiesta che ha scavato nel cuore della Lombardia per far luce su un nuovo modello criminale, dove la cooperazione tra clan ha sostituito le storiche rivalità.
Un’inedita sinergia, dunque, tra cosche calabresi, camorristi e mafiosi siciliani, con l’obiettivo di spartirsi il controllo del narcotraffico, delle estorsioni, del traffico illecito di armi e delle frodi fiscali. Ma soprattutto, di colonizzare pezzi strategici dell’economia legale del Nord Italia.
Dalla provincia al cuore del potere economico
Tutto comincia nel 2019 da Lonate Pozzolo, provincia di Varese. Un’indagine della Direzione Distrettuale Antimafia, allora concentrata su alcune figure legate alla ’ndrangheta, fa emergere ben più di un clan locale: sotto la superficie si stava consolidando una struttura federativa, un “sistema mafioso lombardo”, come l’ha definito la DDA, che metteva in rete diversi gruppi criminali con una regia condivisa.
Il cuore dell’operazione Hydra è proprio questa alleanza anomala: l’abbandono della logica dello scontro per fare spazio a una gestione integrata dei territori e degli affari. Una svolta che cambia lo scenario: la criminalità organizzata non si limita più a infiltrare l’economia, ma la governa.
Superbonus, parcheggi, aeroporti: la mafia che si fa impresa
Secondo l’accusa, la rete criminale avrebbe approfittato delle falle normative e dei fondi pubblici per inserirsi nel mondo dell’edilizia, sfruttando in particolare il meccanismo del Superbonus. Ma non solo. Appalti per servizi di pulizia in strutture pubbliche, gestione di mercati rionali, parcheggi ospedalieri e aeroportuali, fino al riciclaggio di denaro tramite un sistema di aziende create ad hoc: una vera e propria holding del crimine.
A ottobre 2023, però, il castello accusatorio sembrava sul punto di crollare. Il giudice per le indagini preliminari Tommaso Berna aveva accolto solo 11 delle 153 richieste di misura cautelare avanzate dalla DDA. Ma il Tribunale del Riesame ha poi ribaltato la decisione, ritenendo le prove raccolte solide. Da qui la conferma della gravità e della portata dell’inchiesta.
Le cosche coinvolte: la mappa criminale del processo
Nel maxi-processo sono coinvolte figure legate alle principali famiglie criminali del Mezzogiorno. Per la ’ndrangheta, spiccano le presenze della potente ’ndrina Farao di Cirò Marina (Crotone), e di due gruppi radicati nel Reggino: gli Iamonte di Melito di Porto Salvo e i Romeo di San Luca.
Sul fronte siciliano, l’accusa punta il dito contro soggetti collegati ai Corleonesi e al clan di Castelvetrano, storicamente legato al boss Matteo Messina Denaro, morto nel 2023 dopo 30 anni di latitanza. Per la camorra, emerge il nome del clan Senese, attivo nella Capitale ma ben radicato anche in Lombardia.
Nel mirino anche gruppi minori come la Stidda, formazione criminale nata negli anni ’80 come scissione di Cosa nostra, attiva in particolare tra Agrigento, Enna, Ragusa e Caltanissetta.
Aula bunker blindata e tensione alle stelle
L’udienza preliminare si è tenuta nell’aula bunker del carcere di Opera, una struttura ad alta sicurezza costruita per processi ad alto rischio. Qui sono detenuti diversi imputati dell’inchiesta. L’afflusso di pubblico, legali e parti civili è stato regolato da un rigido protocollo, con controlli al metal detector, pattugliamenti interni ed esterni, e una presenza massiccia delle forze dell’ordine.
Misure eccezionali giustificate anche dalle minacce ricevute dai magistrati titolari delle indagini. Il clima è pesante, la tensione palpabile.
Il rito abbreviato e le accuse di “processo seriale”
Circa una trentina di imputati hanno optato per il rito abbreviato, una formula che consente lo sconto di un terzo della pena in caso di condanna, rinunciando al dibattimento. Gli altri saranno giudicati con il rito ordinario.
Data la mole di imputati, è stato stilato un regolamento organizzativo: 35 imputati per udienza, in ordine alfabetico, per un totale di 24 udienze preliminari. Una modalità che ha scatenato le proteste di molti avvocati difensori. Tra loro, l’avvocata Cinzia Giambruno, che ha parlato di “violazione del diritto di difesa”, definendo il processo una “macchina che rischia di triturare i singoli casi”.
Le parti civili: istituzioni e società civile unite
A costituirsi parte civile sono stati il Comune di Milano, quello di Varese, la Regione Lombardia, e due associazioni che si occupano da anni di contrasto alle mafie: Libera e WikiMafia. Un segnale chiaro di come la consapevolezza delle infiltrazioni mafiose nel Nord Italia sia ormai diffusa anche a livello istituzionale.
La presenza delle istituzioni al processo è anche un modo per chiedere il risarcimento dei danni causati dai clan alla collettività. E, soprattutto, per riaffermare il principio che il crimine organizzato va combattuto non solo nei territori d’origine, ma ovunque si insinui.
Sentenza prevista tra il 2025 e il 2026
Visti i numeri e la complessità dell’impianto accusatorio, il processo si annuncia lungo e articolato. Le previsioni più ottimistiche parlano di una sentenza tra fine 2025 e inizio 2026. Saranno mesi decisivi non solo per gli imputati, ma anche per la tenuta delle istituzioni di fronte alla nuova criminalità imprenditoriale che ha messo radici profonde nel Nord del Paese.
Questa è la nuova mafia: meno coppola e lupara, più giacca, cravatta e visura camerale.