I guai di Speranza: Claudio D'Amario ammette di aver gonfiato il test della capacità dell'Italia di resistere a una pandemia
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I guai per il ministro della Salute non finiscono mai. Ora si aggiungono anche le dichiarazioni dell’ex responsabile della Prevenzione del ministero della Sanità, Claudio D’Amario, che ha ammesso di aver gonfiato il 4 febbraio 2020 il test di autovalutazione della capacità dell’Italia di resistere a una pandemia. È la conferma della catena di negligenze costata quasi 120mila morti e del possibile nesso di causalità tra alcune omissioni e la pandemia.

“La sanità funziona così, più investi in prevenzione oggi e più risparmierai domani”, ha scritto nel suo libro “Perché guariremo” il ministro Roberto Speranza, il cui capo di gabinetto Goffredo Zaccardi è nel mirino della Procura e potrebbe essere presto sentito. E come il report Oms, insabbiato perché non consono alla narrazione tranquillizzante del governo dal dirigente Oms Ranieri Guerra, anche il volume è rispuntato dal nulla.

Decine i ricorsi e gli esposti contro l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte. Tra questi quello presentato a Roma dall’associazione European Consumers in cui si contesta che “fin dalla prima circolare ministeriale 1997 del 22 gennaio 2020 Polmonite da nuovo coronavirus (2019 nCoV) in Cina non viene fatta menzione di alcuna profilassi e terapia con antivirali (disponibili), altri farmaci e cure di supporto”.

E si accusa la decisione di “vietare le autopsie”, che a detta dei ricorrenti “ha determinato un forte ritardo nella diagnosi dei fenomeni trombotici” e si punta il dito contro la terapia domiciliare decisa dall’Aifa solo a fine dicembre 2020, in cui si raccomanda come unica strada da seguire “una vigilante attesa e la somministrazione di paracetamolo o fans”. Una ricetta ribaltata lo scorso 31 marzo dai risultati dello studio dell’Istituto Mario Negri di Bergamo, che al posto della tachiprina, ritenuta “più dannosa che utile” punta su aspirina e su antinfiammatori come l’Aulin in caso di dolori.

Il Senato ha chiesto all’esecutivo di rivedere i protocolli, ma il ministero li sta difendendo, persino davanti al Consiglio di Stato. Se si fosse puntato subito sulle cure domiciliari con antidolorifici e antivirali – come prevedeva il piano pandemico, anche quello non aggiornato del 2006 – mentre i medici di base impazzivano scambiandosi consigli e suggerimenti, si potevano salvare delle vite?

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