Io, imprenditore con fatturato da 1 milione di euro ristorato con 18mila euro
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Le “potenze di fuoco” annunciate nel corso dell’ultimo anno dal governo Conte e dal governo Draghi sono state tante. Poi, però, alla narrativa della propaganda politica – a cui i mezzi d’informazione fanno da cane da riporto – si contrappone la vita reale. Quella dell’imprenditore. Quella che, in genere, i politici fanno finta di non vedere.

Correva l’anno 2020 quando, orgogliosamente, l’allora presidente del Consiglio Giuseppe Conte, a reti unificate, raccontava che erano pronti ben 600 (seicento) euro per le attività rimaste ferme per il primo lockdown. Poi ne arrivarono altre 600 (seicento) e altri mille. Poi la palla passò alle Regioni per altri ristori e successe il patatrac. Morale: ancora oggi più di un imprenditore attende i contributi a fondo perduto e le casse integrazioni. Per dire.

Per oltre un anno abbiamo avuto da un lato governi che annunciavano potenze di fuoco pazzesche, dall’altro milioni di italiani che cercavano di non morire aggredendo i risparmi. Il 28% degli italiani precisamente. E sappiamo tutti com’è finita, con lunghe file alla Caritas, al Monte dei Pegni e al Pane quotidiano di Milano.

A maggio 2020, disastrati dal lockdown, gli italiani erano in fila al Monte dei Pegni per cercare di sfamarsi vendendo oggetti cari. Ma su tutte le tv la narrazione era che la fantastica macchina governativa donava fior fiori di milioni di euro.

La “potenza di fuoco” che abbatte le imprese

Un governo, ad esempio, che prometteva aiuti e poi delegava le banche per aiutare le imprese a loro volta costrette a indebitarsi. C’era un governo che annunciava una “potenza di fuoco” di aiuti e a maggio non ancora era in grado di presentare il “decreto aprile” poi slittato a giugno. L’allora ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, vaneggiava su contributi a fondo perduto e ristoro degli affitti fino al taglio delle bollette per le imprese. Iniziative che mai hanno trovato un’applicabilità perché, semplicemente, non c’erano soldi.

Dopo la grana delle coperture sulla cassa integrazione, sottostimate dall’esecutivo che è dovuto correre ai ripari, il problema è stato quello di finanziare le imprese in crisi. Esclusi gli aiuti di Stato. Gualtieri mirava a “un modello molto ambizioso” in grado di favorire “con incentivi adeguati l’afflusso di finanziamenti e del risparmio a sostegno delle piccole e medie imprese e prevedendo per lo Stato di poter concorrere alla ricapitalizzazione sia sulle perdite che come sostegno”.

I Ristori

La parola magica è stata “Ristori”. Con una serie di interventi i governi hanno tentato di mettere una pezza sul Paese che in piena pandemia si stava sgretolando economicamente. Gli amministratori pubblici e gli uomini delle task force (decine, pagate dai contribuenti) hanno proceduto con l’improvvisazione di un bimbo delle elementari. Prima l’elemosina di qualche centinaio di euro (non a tutti) e poi hanno continuato con i distinguo: se sei in zona rossa sì, se se in zona arancione no. Come se la pandemia non avesse colpito tutti indistintamente. E allora hanno rimodulato ancora una volta i successivi aiuti per le imprese inserendo la norma che prevedeva un calo di fatturato tra il 2019 e il 2020. Solo in quel caso all’impresa sarebbe andato un ristoro pari alla differenza del calo di fatturato.

Tutto risolto? Manco per niente. Teoricamente i Ristori, e i successivi aiuti, sarebbero andati a coprire le perdite di tutte le aziende italiane. In realtà non è stato così. E a dirlo candidamente è stato anche l’allora sottosegretario di Stato, Manlio Di Stefano: “Se avessimo dato tutto a tutti in molti non avrebbero ricevuto nulla”. La cosa strana è che a reti e giornali unificati è passata – e passa ancora – l’idea che il governo ha aiutato le imprese che hanno subito perdite.

Io, imprenditore aiutato con 18mila euro

“Con un fatturato di circa un milione di euro ho ricevuto appena 18mila euro”. Antonio Tavani, imprenditore nel settore alberghiero, racconta a Zone d’Ombra Tv la sua esperienza nell’anno del covid-19. “La mia è una storia simile a quella di altre migliaia di colleghi imprenditori che quotidianamente cercano di sopravvivere alla crisi” afferma Tavani.

Ma si può vivere e continuare a gestire un’azienda con soli 18mila euro? “Ho sfruttato la Cassa integrazione in deroga per non licenziare le persone che lavorano con me da trent’anni e ho chiuso da dicembre fino a fine marzo. Nel frattempo gli aiuti sono arrivati dai familiari” conclude Tavani.

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