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Dunque, c’è una storia da raccontare che ruota intorno al neo ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, appena nominata dal nuovo governo Conti-bis. Lungo il cammino istituzionale dell’ex prefetto di Milano balzata sulla poltrona del Viminale, s’incontra Antonello Montante.

Un personaggio che, probabilmente, in molti non conosceranno ma che ha avuto qualche problema con la legge. Montante, infatti, il 10 maggio 2019 viene condannato dal Gup di Caltanissetta a quattordici anni di reclusione. È riconosciuto colpevole di aver organizzato un elaborato sistema di dossieraggio. In media, sostengono i pubblici ministeri Stefano Luciani e Maurizio Bonaccorso , sarebbero stati effettuati accessi abusivi per un arco di 7 anni, per cercare informazioni su personaggi pubblici, tra i quali l’ex presidente dell’Irsap (l’istituto regionale per lo sviluppo delle attività produttive) Alfonso Cicero, e il magistrato ed ex assessore regionale Nicolò Marino.

Montante, secondo gli inquirenti, potrebbe essere in possesso delle intercettazioni tra il presidente della Repubblica Napolitano e il ministro dell’Interno Mancino sulla trattativa stato-mafia. A confermarlo anche un libro-inchiesta “Il padrino dell’antimafia – Una cronaca italiana sul potere infetto” dell’inviato di Repubblica Attilio Bolzoni. Il giornalista racconta fatti di potere alla Commissione parlamentare antimafia. La politica tutta, da Lombardo a Crocetta, passando per Cuffaro, ha continuato a riconoscere ad Antonello Montante un interlocutore privilegiato dell’antimafia cosiddetta “sociale”. Persino don Luigi Ciotti, fondatore di Libera, ha continuato a ignorare le notizie su quella strana antimafia di Confindustria Sicilia.

“Ritengo soltanto che lui e Libera, al pari di altre associazioni, non abbiano gli strumenti culturali per riconoscere la mafia, che è tornata ad essere se stessa dopo la stagione stragista, che è stata solo una parentesi” spiega Bolzoni a Linkiesta. “Libera ha continuato a firmare protocolli di legalità con i soci di Montante, anche quando i contorni di chi era veramente avevano cominciato a delinearsi con le inchieste in corso. Purtroppo, in tanti sono rimasti fermi alla mafia che spara. E questa è una mancanza di sapere. Le associazioni antimafia grondano di retorica. La mafia non è mai cambiata, è tornata a mischiarsi con la società. E anche lo Stato non è cambiato dopo che ha mostrato i muscoli”.




Ma, dunque, Montante chi è? “Una persona da sempre nel cuore del boss di Cosa nostra Paolino Arnone della famiglia di Serradifalco e di Vincenzo Arnone, il figlio, che ad Antonello farà da testimone di nozze e che prenderà le redini del clan quando il padre finirà morto suicida in carcere” aggiunge il giornalista. “Una volta arrestato lui a prendere il posto nella reggenza della famiglia sarà Dario Di Francesco, proprio uno dei pentiti che che accuseranno Montante”.

E come si arriva all’attuale ministro dell’Interno?

A marzo 2014 l’allora ministro dell’Interno, Angelino Alfano, invia una lettera al ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan: c’è la necessità di individuare due esperti da mandare all’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Il 12 maggio Alfano, ufficialmente, indica il nome di Montante. Il 30 luglio, l’allora prefetto Luciana La Morgese, capo di gabinetto del ministro Alfano, chiede a Montante il Curriculum vitae. Insomma, Montante entra come componente dell’Agenzia mentre era indagato per mafia.

Il neo ministro La Morgese e l’ex ministro Angelino Alfano, insieme ad Antonello Montante firmavano i protocolli di legalità. Ecco un documento dell’epoca in cui si ribadiva la collaborazione.

Firmato al Viminale dal ministro Angelino Alfano e dal rappresentante di Confindustria Antonello Montante l’atto aggiuntivo al protocollo di legalità per il contrasto delle infiltrazioni mafiose nel settore dei contratti di lavori, servizi e forniture pubblici e privati. Con il documento sottoscritto mercoledì 22 gennaio, si estendono le cautele antimafia anche nei confronti dei privati che hanno sottoscritto atti per l’affidamento di lavori, servizi e forniture dopo le modifiche introdotte il 13 febbraio 2013 al Codice Antimafia. Lo Stato funziona meglio quando diventano coprotagoniste del sistema di sicurezza le organizzazioni rappresentative di interessi legittimi. Lo ha dichiarato il ministro Angelino Alfano oggi al Viminale in occasione della firma dell’atto aggiuntivo al protocollo di legalità tra il ministero dell’Interno e Confindustria, sottoscritto il 10 maggio 2010 e rinnovato per un altro biennio il 19 giugno 2012, e finalizzato a rafforzare la prevenzione ed il contrasto delle infiltrazioni mafiose nei settori dei contratti, servizi e forniture. Con il documento di oggi, ha specificato il capo di Gabinetto Luciana Lamorgese, si estendono le cautele antimafia anche nei confronti dei privati che hanno sottoscritto atti per l’affidamento di lavori, servizi e forniture dopo le modifiche introdotte il 13 febbraio 2013 al Codice Antimafia”.

A marzo di quest’anno la commissione Antimafia sulla vicenda che riguarda l’ex presidente di Sicindustria, spiega cos’era il “sistema Montante”: “Una sorta di costituzione materiale della Regione Siciliana capace di resistere per una lunghissima stagione e di interferire sulla politica e sulla spesa delle istituzioni regionali determinando coalizioni e assetti di governo”.

E c’è dell’altro. Dopo 10 mesi di lavoro e 49 audizioni, la commissione presieduta da Claudio Fava ha evidenziato l’intreccio perverso fra l’ex paladino della legalità ed esponenti istituzionali di altissimo livello: ministri, rappresentanti di spicco delle forze dell’ordine. In commissione è stato sentito anche l’ex titolare del Viminale Angelino Alfano, che non ha rinnegato la sua amicizia con Montante:  “Io ho interloquito da siciliano con un’icona: cioè lui era creduto! E più era creduto, più diventava credibile, e più diventava credibile più era creduto”, ha spiegato l’ex ministro. Il fatto strano è che quando Montante era già indagato per mafia, lo ha voluto all’agenzia per i beni confiscati e non ha fatto poi nulla per rimuoverlo. “La nomina all’agenzia? Fu un’idea mia. Immaginai di mettere un siciliano, un anti mafioso, il responsabile della legalità di Confindustria nazionale  – ha detto Alfano – e, al tempo stesso, uno di comprovata, a quel tempo, competenza manageriale. Poi, venti giorni dopo, c’è stata la rivelazione del segreto istruttorio da parte del giornale e se violavano il segreto istruttorio venti giorni prima non lo nominavo”.

Nessuna revoca arrivò nemmeno quando si diffuse la notizia su Montante. Alfano, stando agli atti giudiziari, incontrò sette volte l’indagato: “La mancata rimozione di Montante? Eravamo di fronte ad un’iscrizione nel registro degli indagati, divulgata da un giornale, non eravamo in presenza dell’arresto”, spiega l’ex ministro. “Sì, dopo la notizia dell’indagine – ancora Alfano – lo incontrai diverse volte, non ricordo se furono sette… Mi venne a spiegare proprio le ragioni della sua autosospensione dall’agenzia… quando si seppe dell’indagine non ci fu l’unanimità di un coro indignato contro Montante. Tutt’altro… si trattava di un qualcosa di rivelato giornalisticamente, non ci fu, assolutamente, l’idea che si facesse riferimento ad una personalità che da un momento all’altro rischiava di essere condannato per mafia”.

Cene con magistrati e prefetti
Per capire la potenza di Montante  basta rileggere la testimonianza dell’ex prefetto Carmine Valente, che cita di nuovo Alfano. Parla delle visite a casa dell’allora presidente di Sicindustria: “Qualche volta sono stato anche da solo ma c’è stato Lari con me, c’è stato il presidente della Corte d’Appello Cardinale, c’è stata la Sava e quando è arrivato una volta a Caltanissetta, in visita, il vicepresidente del CSM, a casa sua (di Montante, ndr) c’è stata una cena con tutti i vertici della magistratura siciliana, erano quindici persone tra cui c’ero io… Lui era anche amico del ministro, amico di Alfano, lo chiamava e qualche volta me l’ha anche passato ed io ho parlato con Alfano. Con la Cancellieri aveva dei rapporti anche pregressi”. Quando i commissari chiedono cosa si dissero il prefetto e Alfano in quella conversazione datata 18 dicembre 2013: “Montante – la risposta di Valente – mi passò Alfano per farmi dire dal ministro che si poteva concludere la mia situazione a Caltanissetta a breve”. Era così potente, il guru dell’antimafia, da fare da intermediario con il capo del Viminale sulla rotazione dei prefetti. 

di Antonio Del Furbo

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