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Finalmente la commissione parlamentare antimafia toglie il segreto sulle audizioni del magistrato a Palazzo San Macuto, fra il 1984 e il 1991. Il fratello del giudice polemico: “Tanti atti ancora segreti negli archivi di Stato”

“Desidero sottolineare la gravità dei problemi che dobbiamo continuare ad affrontare… Di pomeriggio, è disponibile solo una macchina blindata. Pertanto io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 21 o alle 22. Con ciò riacquisto la mia libertà, però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere poi libero di essere ucciso la sera”.

Così parlava Paolo Borsellino davanti alla commissione parlamentare antimafia, era il 1984, il pool stava preparando il primo maxi processo alle cosche. Un’indagine riservatissima, che di lì a poche settimane potrà contare sulla collaborazione di Tommaso Buscetta, e consentirà di portare alla sbarra, per la prima volta, la Cupola con l’accusa di associazione mafiosa. Dopo il consigliere istruttore Antonino Caponnetto parlano i giudici istruttori Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ed è proprio quest’ultimo a rivelare che quel manipolo di magistrati sta conducendo “processi di mole incredibile, ognuno dei quali è composto da centinaia di volumi che riempiono intere stanze”.

Per il lavoro del pool, avverte Borsellino, è diventato indispensabile l’uso di un computer finalmente arrivato a Palermo, ma che “purtroppo non sarà operativo se non tra qualche mese perché sembra che i problemi della sua installazione siano estremamente gravi, anche se non si riesce a capire perché”. Le dimensioni dell’indagine, spiega il magistrato, non consentono di andare avanti “con le nostre semplici rubrichette artigianali”, e oltre al computer appena arrivato ma non ancora funzionante, servirebbero segretari e dattilografi, che non possono fare straordinari. Risultato: “Il giudice che è costretto a lavorare, come nel processo attualmente in corso, per 16 o 18 ore al giorno rimane, per buona parte della giornata, solo con se stesso, con tutto l’aggravio di lavoro che ne deriva”.

Borsellino lancia l’allarme sicurezza: “Buona parte di noi non può essere accompagnata in ufficio di pomeriggio da macchine blindate, come avviene la mattina, perché il pomeriggio è disponibile solo una blindata, che evidentemente non può andare a raccogliere quattro colleghi. Pertanto io, sistematicamente, il pomeriggio mi reco in ufficio con la mia automobile e ritorno a casa alle 21 o alle 22. Magari con ciò riacquisto la mia libertà, però non capisco che senso abbia farmi perdere la libertà la mattina per essere poi, libero di essere ucciso la sera”.

Nell’incontro con la commissione parlamentare del 3 novembre 1988 Borsellino torna a parlare dello smantellamento del pool antimafia di Palermo dopo la mancata nomina a consigliere istruttore di Giovanni Falcone, che lui stesso aveva denunciato pubblicamente in estate. Tra il 1989 e il 1991 Borsellino tornerà in altre tre occasioni davanti all’Antimafia, sottolineando ogni volta i problemi e le difficoltà pratiche che i magistrati impegnati nel contrasto a Cosa nostra continuavano a incontrare.

Oggi la commissione parlamentare antimafia ha recuperato tutte le parole di Borsellino a Palazzo San Macuto, pronunciate in varie audizioni, fra il 1984 e il 1991. Alcune audizioni era ancora segrete e sono state declassificate. Un archivio che è stato digitalizzato ed è confluito su un unico sito web all’interno del portale del Parlamento.

Borsellino non racconta solo gli anni in cui la lotta alla mafia era fatta da una pattuglia di magistrati e investigatori. Racconta anche dei misteri attualissimi della provincia di Trapani, la terra di Matteo Messina Denaro, il boss delle stragi originario di Castelvetrano che lo Stato non riesce ad arrestare dal giugno 1993. Diceva Borsellino nel corso della trasferta a Trapani il 4 dicembre 1989, quando lui era ormai procuratore di Marsala:

“Questa è terra di grandi latitanti: Provenzano, Riina e altri nomi storici”. E poi citava espressamente Castelvetrano: “Vi sono grandi proprietà di mafia, che ora stanno vendendo e sto facendo delle indagini per capire a chi. Proprietà di Saveria Benedetta Palazzolo, la moglie di Bernardo Provenzano, ma anche di Badalamenti e di Bontate, cioè delle famiglie cosiddette perdenti. Vi fu infatti un periodo in cui questa era zona di espansione di tutte le famiglie mafiose”.

Polemico il fratello del magistrato ucciso in via D’Amelio, Salvatore Borsellino in una lettera inviata al presidente Morra: “In quella strage mio fratello è stato ridotto ad un tronco carbonizzato senza più le gambe e le braccia, i pezzi di quei ragazzi sono stati raccolti uno ad uno e messi in delle scatole per poi essere identificati, separati e racchiusi in delle bare troppo grandi per quello che restava di loro. Ora, a 27 anni di distanza, non posso accettare che i pezzi di mio fratello, le parole che ha lasciato, i segreti di Stato che ancora pesano su quella strage, vengano restituiti a me, ai suoi figli, all’Italia intera, ad uno ad uno. È necessario che ci venga restituito tutto, che vengano tolti i sigilli a tutti i vergognosi segreti di Stato ancora esistenti e non solo sulla strage di Via D’Amelio ma su tutte le stragi di Stato che hanno marchiato a sangue il nostro Paese”. “Non mi sembra si tratti esattamente di una desecretazione – dice – ma piuttosto di rendere pubblici dei documenti che fino ad ora erano di difficile accessibilità perché conservati negli archivi della commissione antimafia. Una cosa importante ma un pò diversa da quella desecretazione che aspettiamo da anni, che anche il ministro Bonafede aveva promesso proprio in via d’Amelio e che ancora non è arrivata. È assurdo – ha concluso – che in un Paese come il nostro, che si è macchiato di tante stragi di Stato, ancora oggi ci siano questi segreti. Vuol dire che non si vuole arrivare alla verità, non ho altra risposta”.

Di admin

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