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Si chiama Concetta Candido e sei mesi fa si era dato fuoco davanti a uno sportello dell’Inps di Torino. Era disperata, voleva semplicemente essere ascoltata ma nessuno gli ha dato retta. Dopo il ricovero in ospedale, il coma e decine di operazioni, lo Stato (manco a dirlo) la tiene ancora lì, abbandonata e maltrattata.

Concetta chiedeva di avere i soldi che le spettavamo dalla Naspi ovvero l’indennità di disoccupazione. “Vado a farmi sentire”, scrisse quel 27 giugno su Facebook prima di uscire di casa. Peccato che i burocrati dell’ente non le diedero retta e la donna fu costretta a darsi fuoco con una bottiglietta di alcol e un accendino. Le conseguenze sono state pesantissime per lei: mesi di coma, poi un ricovero in ospedale, la faccia sfigurata dal fuoco. Operazioni, trapianti di pelle e altre vicissitudini (tante) che non hanno contribuito a risolvere il suo dramma.

Da maggio Concetta riceve la Naspi “ma sugli arretrati non arrivano le risposte”, spiega suo fratello Giuseppe che da sei mesi cerca di trovare una soluzione per districare una matassa di cavilli che – dice – “hanno portato mia sorella all’esasperazione”.

Concetta era stata licenziata il 13 gennaio. La sua titolare non le aveva liquidato nemmeno il tfr che oggi la donna ha recuperato con una causa davanti al giudice. Il 24 gennaio aveva fatto domanda all’Inps per ottenere la disoccupazione e gli uffici di corso Giulio Cesare le avevano risposto ad aprile: richiesta negata perché mancava un documento che attestasse che Concetta era guarita ed era di nuovo abile al lavoro. “Questo è quel che dice la legge ma basterebbe il buonsenso”, dicono i fratelli Candido che lottano da sei mesi contro la burocrazia. “Non so quante volte sono andato all’Inps i per venire a capo di questo furto legalizzato: perché nessuno sa della necessità di questi documenti prima di trovarsi invischiato nella procedura. Sbagliare è facilissimo”.

L’Inps, in sostanza, non nega i soldi alla lavoratrice licenziata ma li posticipa facendo partire la pratica da maggio. “Ho cercato di capire se sarebbe bastata una sua autocertificazione sulle sue condizioni di salute di un anno fa, per ottenere subito gli arretrati, ma non si poteva fare. L’unica ipotesi, ammesso che poi vada a buon fine, è chiedere al medico che le aveva firmato il foglio della mutua di certificare che dal 20 di gennaio dell’anno scorso mia sorella era tornata abile al lavoro”. Ma questa volta è il medico a non voler firmare il documento. 

Questa è l’Italia. L’Italia dei burocrati e dei funzionari. Inutili.

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