Il 6 giugno 2025 si è spenta a Catania, dopo una lunga malattia, l’ex giudice Maria Fascetto Sivillo, 68 anni, da oltre 35 anni in magistratura.
Maria Fascetto Sivillo, un giudice contro il “sistema”. La sua morte chiude tragicamente una vicenda che negli ultimi anni ha tenuto banco tra scandali e colpi di scena clamorosi. Ma chi era Maria Fascetto Sivillo, e perché la sua storia personale è diventata un casoper l’intera magistratura italiana? Cerchiamo di ricostruire una vicenda complessa, fatta di carriera giudiziaria, processi e lotte di potere, con un approccio investigativo alle molte zone d’ombra che emergono.
Maria Fascetto Sivillo era originaria di Capizzi, piccolo comune della provincia di Messina. Entrata in magistratura a inizio anni ’80, aveva costruito la sua carriera a Catania come giudice civile. Negli ambienti giudiziari catanesi era nota per la preparazione tecnica e un carattere forte. Colleghi e avvocati la descrivono come una magistrata determinata, poco incline ai compromessi. Per anni ha lavorato in sezioni delicate – come le esecuzioni civili e probabilmente le procedure fallimentari – dove transitano interessi economici importanti. E proprio attorno alle cause fallimentari cominciano i primi attriti che segneranno il suo destino.
Le denunce sulle “anomalie” nei fallimenti e lo scontro con il CSM
Nel 2019 la giudice Fascetto Sivillo vive già un rapporto teso con il suo ufficio. Ci sono contrasti interni sulla gestione dei fascicoli, in particolare nell’assegnazione e conduzione delle cause fallimentari. Si mormora di favoritismi, pressioni, situazioni poco chiare. Maria Fascetto, invece di tacere, decide di agire: a settembre 2019 presenta un esposto alla Procura di Messina (scelta significativa, forse per evitare la procura catanese, considerata “troppo vicina” agli ambienti locali) in cui denuncia “parecchi fatti” sulla gestione della sezione fallimentare del Tribunale di Catania. In pratica sta accusando certi colleghi di condotte scorrette o addirittura illecite nella trattazione di fallimenti e aste. Un atto grave, che scuote i corridoi del tribunale etneo.
Qual è l’esito? La procura messinese archivia quelle accuse; non si ravvisano elementi sufficienti per procedere. Per alcuni, ciò significa che le denunce di Fascetto fossero infondate; per altri, semplicemente che ha toccato poteri troppo forti per abbatterli senza prove schiaccianti. Fatto sta che, invece di risolvere problemi, la mossa della giudice la espone a ritorsioni. Il Consiglio Superiore della Magistratura affronta la vicenda: i contrasti all’interno del tribunale di Catania sono ormai di dominio pubblico e mettono a rischio la credibilità dell’istituzione locale.
Il trasferimento
Così il CSM interviene d’autorità, disponendo il trasferimento per incompatibilità ambientale di Maria Fascetto Sivillo. In altre parole: il CSM allontana la giudice da Catania per placare le acque (non si conosce la nuova sede, ma in questi casi trasferisce d’ufficio in un altro distretto). Contestualmente, il Guardasigilli (all’epoca il ministro Alfonso Bonafede) esercita il suo potere di iniziativa disciplinare: chiede alla sezione disciplinare del CSM di applicare una misura cautelare contro Fascetto, ossia la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio in attesa di valutare i fatti. È un provvedimento rarissimo, usato solo in casi di urgenza disciplinare.
Maria Fascetto Sivillo non resta con le mani in mano. Anzi, reagisce in modo eclatante: il 20 aprile 2019 si presenta dai Carabinieri e sporge una denuncia contro il ministro Bonafede in persona, accusandolo di abuso d’ufficio. Un magistrato sottoposto all’azione disciplinare che denuncia il ministro che l’ha promossa: praticamente un unicum nella storia recente. Nel suo esposto la giudice sostiene che il ministro avrebbe agito senza reali motivi, “recependo acriticamente note” diffamatorie su di lei, chiedendo la sanzione più afflittiva senza fondamento. Parole di fuoco: “senza conoscere né la mia persona, né il mio operato… ha immotivatamente chiesto la misura più afflittiva”, scrive Fascetto, accusando Bonafede di aver debordato dai suoi poteri. Questa controffensiva appare più simbolica che concreta – la denuncia finirà probabilmente archiviata dal Tribunale dei Ministri, come spesso accade – ma segna la volontà di Fascetto di combattere ad ogni costo.
Intanto, sull’altro fronte, iniziano a emergere ombre sul comportamento della stessa Fascetto Sivillo. Perché se da un lato lei accusa i colleghi, dall’altro lato c’è un’inchiesta che accusa lei di aver violato la legge per interessi personali.
L’accusa di concussione: il caso delle cartelle esattoriali
Già nel 2016 Maria Fascetto Sivillo era finita indagata in un’altra vicenda, diventata poi processo penale. L’accusa è di quelle che possono rovinare la reputazione di un magistrato: tentata concussione ai danni di un ente pubblico. Tradotto in termini semplici, avrebbe cercato di sfruttare il suo ruolo per ottenere un indebito vantaggio personale. Nello specifico, la giudice era gravata da alcune cartelle esattoriali (debiti con l’erario) e secondo la Procura, a partire dal 2009, avrebbe fatto pressioni per farsele cancellare. In particolare avrebbe contattato i responsabili di Riscossione Sicilia S.p.A. (sede di Enna) intimando, con l’autorevolezza della propria funzione, di fermare delle procedure di pignoramento avviate contro di lei. Una sorta di “lei non sa chi sono io” applicato al fisco.
Questa accusa porta Maria Fascetto Sivillo sul banco degli imputati al Tribunale di Messina (competente per motivi procedurali). Il processo di primo grado si conclude in tempi relativamente rapidi e con un verdetto severo: il 25 luglio 2020 il Tribunale (Prima sezione penale, presidente Letteria Silipigni) condanna la giudice a 3 anni e 6 mesi di reclusione, più le pene accessorie dell’interdizione perpetua dai pubblici uffici e la rimozione dall’ordine giudiziario. Quest’ultima sanzione, la destituzione, è il colpo più duro: significa che Fascetto Sivillo viene estromessa dalla magistratura (anche se la misura diverrà effettiva solo a sentenza definitiva).
È una punizione esemplare, segno che i giudici messinesi hanno ritenuto provate le contestazioni dell’accusa. Tra l’altro, nella motivazione del rinvio a giudizio si legge che la giudice avrebbe “abusato della sua qualità e dei suoi poteri, compiendo atti idonei e diretti in modo non equivoco a costringere i funzionari di Riscossione Sicilia alla cancellazione di procedure esecutive”. In sostanza, avrebbe esercitato pressioni indebite grazie al suo ruolo, anche se – va detto – il tentativo in realtà non riuscì (le cartelle non vennero cancellate, il che spiega la contestazione come “tentata” concussione).
Maria Fascetto grida alla macchinazione.
Annuncia appello e, supportata dal suo difensore prof. Carlo Taormina, ottiene un primo, importante risultato: l’annullamento in appello di quella sentenza. Il 21 maggio 2021 la Corte d’Appello di Messina cancella la condanna di primo grado e dispone un nuovo processo (rinvio al tribunale per un nuovo giudizio). I motivi dell’annullamento non sono pubblici in dettaglio, ma probabilmente riguardano vizi procedurali o valutazioni della prova. Sta di fatto che il processo “riparte da zero”. Maria Fascetto Sivillo commenta sollevata: “È un primo passo verso la verità… aspetto con fiducia che sia riconosciuta la mia totale innocenza”.
Il processo bis di primo grado arriva a sentenza nel maggio 2023. E, sorprendentemente, sancisce di nuovo una condanna a 3 anni e 6 mesi per Fascetto Sivillo. Evidentemente, anche il secondo collegio di giudici (differente dal primo) ha ritenuto fondato l’impianto accusatorio, nonostante il tempo trascorso e il rinnovamento del dibattimento. È una battuta d’arresto per l’ex giudice, che però non si arrende: si va avanti in Corte d’Appello per l’ultimo round, mentre intanto – come vedremo – altri eventi fanno ribaltare il quadro generale.
Secondo procedimento penale
Vale la pena di segnalare che, in parallelo al caso “cartelle esattoriali”, Maria Fascetto Sivillo si è trovata imputata in un secondo procedimento penale a Messina, per calunnia aggravata. Le si contesta di aver presentato una valanga di denunce e querele contro vari soggetti (colleghi magistrati di Catania, funzionari di polizia, un magistrato della Cassazione, ecc.), accuse rivelatesi infondate al punto da far sospettare che lei avesse “fabbricato” reati inesistenti per colpire nemici personali. Anche in questo processo c’è un capo di imputazione per abuso d’ufficio relativo a provvedimenti che lei avrebbe adottato come giudice dell’esecuzione civile, forse in modo arbitrario. Insomma, l’ex giudice è sotto attacco su più fronti: viene dipinta da una parte della magistratura come una persona vendicativa, pronta ad usare la legge come arma personale, oltre che come un pubblico ufficiale che avrebbe provato a non pagare le tasse usando il proprio potere.
Disciplinare CSM: la condanna e la “soffiata” sui favori (entra in scena Rosanna Natoli)
Con questo bagaglio di accuse sulle spalle, Maria Fascetto Sivillo affronta anche la giustizia disciplinare. In Italia, infatti, i magistrati rispondono delle violazioni deontologiche e degli illeciti al CSM, che può infliggere sanzioni disciplinari indipendenti dai processi penali. Nel caso di Fascetto, il CSM avvia un procedimento per vari capi (tra cui, naturalmente, i fatti per cui era incriminata e il suo comportamento definito non consono al decoro della funzione).
Nel luglio 2023 si arriva alla decisione: la Sezione Disciplinare del CSM – presieduta dal Vice Presidente Fabio Pinelli – condanna Maria Fascetto Sivillo alla perdita di un consistente periodo di anzianità di servizio (le fonti parlano di uno o due anni). In pratica, per quell’arco di tempo la giudice viene considerata come se fosse “indietro” di anni nella carriera, con effetti su stipendio e progressioni. È una sanzione afflittiva, anche se non la più grave possibile (poteva andare peggio: espulsione dalla magistratura). Ciò indica che il CSM ha ritenuto le sue condotte meritevoli di punizione, ma non così estreme da buttarla fuori.
Un dettaglio importante: Rosanna Natoli – uno dei membri laici del CSM, in quota FdI – era parte del collegio giudicante e relatrice del caso. “Relatrice” significa che avrebbe dovuto materialmente scrivere le motivazioni della sentenza disciplinare contro Fascetto Sivillo. Natoli, 55 anni, avvocato di Paternò, è arrivata al CSM a gennaio 2023 con la maggioranza parlamentare di centrodestra, ed è nota per essere molto vicina al Presidente del Senato Ignazio La Russa (dello stesso partito). Insomma, una figura con forti agganci politici. Chi avrebbe mai immaginato che proprio lei sarebbe diventata co-protagonista del “caso Fascetto”?
La prima parte della vicenda disciplinare sembrava conclusa con la sanzione del 25 luglio 2023.
Ma dietro le quinte bolliva qualcosa. Maria Fascetto Sivillo non accettava quella condanna: si professava innocente e perseguitata. Soprattutto, riteneva che dietro la sua punizione ci fosse lo zampino di una sua acerrima nemica all’interno del Tribunale di Catania (una collega magistrata, definita in alcuni atti come “Sempronia” – nome fittizio per tutelarne l’identità). Secondo Fascetto, questa collega avrebbe fatto parte del “cerchio magico” legato a Palamara e avrebbe orchestrato il suo linciaggio professionale.
E arriviamo così al 3 novembre 2023. In quella data avviene un incontro riservato e non ufficiale fra Rosanna Natoli e Maria Fascetto Sivillo. Le due si vedono a Paternò (CT), nello studio di un avvocato locale, Giuseppe Milazzo, con la presenza di un altro magistrato amico (Giuseppe Failla). Chi abbia proposto o organizzato l’incontro non è del tutto chiaro; dai resoconti sembra che sia stata Natoli a “convocare” la Fascetto per discutere informalmente della sua situazione. Una mossa a dir poco anomala: un giudice disciplinare che incontra privatamente l’incolpata che dovrebbe giudicare. Le ragioni ufficiali non esistono, quelle ufficiose – scopriremo – appaiono torbide.
Maria Fascetto Sivillo, temendo trappole ma sperando forse in una soluzione, accetta di andare. Tuttavia, per cautelarsi, fa qualcosa di astuto: nasconde un registratore (o più probabilmente attiva il telefono) e incide l’intera conversazione. È una precauzione rivelatasi provvidenziale.
Dal file audio emergono elementi sconcertanti, che mesi dopo verranno resi pubblici dalla stessa Fascetto. Ricostruiamone i contenuti principali, perché sono il cuore di questo scandalo.
– Natoli viola il segreto deliberativo: Rosanna Natoli, parlando con disinvoltura, riferisce dettagli sulla discussione interna avvenuta nella camera di consiglio disciplinare del luglio ’23. Ammette apertamente “sto violando il segreto della camera di consiglio” mentre rivela come i colleghi siano arrivati a decidere la sanzione. Questo è già di per sé un reato (rivelazione di segreto d’ufficio, art. 326 c.p.), oltre che una gravissima scorrettezza deontologica.
– “Amica degli amici”: favoritismi confessati. Natoli confida a Fascetto di essersi interessata al suo caso “perché amica degli amici”. Testualmente dice: “Non ce l’ho con te, anzi, perché tu sei amica degli amici…”. E cita il fatto che altri consiglieri (fa il nome di Claudia Eccher, laica in quota Lega) le avrebbero chiesto di dare un “occhio di riguardo” alla Fascetto. Questo passaggio è devastante: conferma l’esistenza di cordate trasversali e scambi di favori dentro il CSM. Fascetto, in pratica, era vista da alcuni come “protetta” da certi ambienti, e Natoli dice di aver cercato di aiutarla per questo. Siamo esattamente nello scenario da Prima Repubblica che la riforma del CSM (la presenza di laici, ecc.) doveva scongiurare, e invece…
– La sanzione “aumentata” per colpa dello sfogo. Natoli spiega a Fascetto che inizialmente lei stessa aveva convinto gli altri a dare solo una sanzione lieve (la censura). Dice: “Io ti do tutte le ragioni del mondo… ti crediamo in Disciplinare. Il problema è che quando abbiamo preso la linea che un magistrato deve avere equilibrio, quel tuo sfogo mi ha rovinato il lavoro”. In sostanza: la Disciplinare era anche ben disposta verso Fascetto, riconoscendo in parte che aveva subìto soprusi dai colleghi, ma la perdita di controllo di Fascetto (che in udienza aveva insultato la collega “nemica”, insinuando tresche amorose con terzi) li ha costretti a inasprire la pena. “Dice… perdita di anzianità”, riferisce Natoli, spiegando che alla fine hanno optato per quella invece della prevista censura.
– Consigli “difensivi” e insulto alla collega: Nel colloquio, Natoli prova a istruire Fascetto su come comportarsi per i procedimenti ancora aperti. Le suggerisce di moderare gli attacchi ai colleghi, perché secondo lei Fascetto farebbe meglio a non accusare più nessuno frontalmente. In particolare, quando Fascetto nomina la sua rivale (la famosa “Sempronia”), Natoli la interrompe dicendo una frase destinata a far storia: “Lo sappiamo tutti che è una cessa, ma non la deve nominare più!”.
L’uso di “cessa” – termine volgare per “donna brutta/sgradevole” – rivela un livello infimo di linguaggio. Natoli praticamente conferma a Fascetto che anche secondo loro quella collega è pessima (“si eliminerà da sola, vedrà”, aggiunge, come a dire: lasciala perdere che farà una brutta fine da sola). Ma la invita a non nominarla più nelle sue denunce, se vuole sperare di cavarsela. Inoltre consiglia a Fascetto di affiancare un altro avvocato al suo difensore Carlo Taormina – famoso per l’approccio combattivo – perché servirebbe un tecnico più esperto di procedimenti disciplinari per trovare una soluzione concordata. Insomma, le propone implicitamente di abbassare i toni e giocare di diplomazia.
– Lo scambio finale e la frase delle “pernacchie”: Nonostante i suggerimenti di Natoli, Fascetto Sivillo nel dialogo rimane ferma. Ribadisce di aver subìto ingiustizie enormi e dice chiaro: “Io sono disposta a tutto, dottoressa, io faccio scoppiare lo scandalo. Dirò che questo CSM è peggio di quello di Palamara”. È la minaccia di chi non ha più nulla da perdere: Fascetto dichiara che denuncerà pubblicamente tutti. A quel punto Rosanna Natoli pronuncia la frase più beffarda: “Sì, lei lo fa (lo scandalo), ma poi ci facemu i pernacchi”.
In siciliano, “vi facciamo le pernacchie”, ovvero vi prendiamo in giro facendo pernacchie (il gesto sonoro di scherno). Natoli intende dire – come scriverà il Corriere della Sera – che lo scandalo minacciato da Fascetto non avrebbe avuto effetti, perché la sua richiesta stessa (che il CSM punisse i colleghi “cattivi”) era infondata e fuori da ogni procedura. Ma l’immagine resta: il membro di un organo di vertice che sfida l’interlocutrice dicendo “anche se riveli tutto, ti rideranno dietro”. Una chiusura quasi mafiosa nei toni, che lascia senza parole.
La bomba scoppia: dimissioni e sospensione per Natoli, Fascetto all’attacco
Per qualche mese quell’audio resta nel cassetto di Maria Fascetto Sivillo. Lei probabilmente attende il momento opportuno per giocarlo. Quel momento arriva nel luglio 2024: il 16 luglio, durante un’udienza disciplinare a Palazzo dei Marescialli (sede del CSM), Fascetto consegna la registrazione come prova. Lo fa attraverso il suo avvocato Taormina, che porta al banco dei giudici una chiavetta USB con il file audio e una trascrizione di 130 pagine. Appena Rosanna Natoli capisce di essere stata incastrata, la reazione è immediata: nel giro di due ore presenta le dimissioni dalla Sezione Disciplinare del CSM e abbandona il suo ruolo di giudice nel procedimento. L’udienza viene sospesa seduta stante. La notizia trapela immediatamente sui media: è uno scandalo istituzionale di prima grandezza.
Il giorno dopo, 17 luglio 2024, Il Fatto Quotidiano pubblica ampi stralci dell’audio in suo possesso, facendo ascoltare al pubblico la voce di Natoli che dispensa consigli e ammette il “ritocchino” favorevole per l’amica degli amici. La percezione è di trovarsi di fronte a un ennesimo “caso Palamara”, se non peggio. Due ex consiglieri togati del CSM, Nino Di Matteo e Sebastiano Ardita (entrambi noti per essersi scontrati con il sistema delle correnti degenerato attorno a Palamara), commentano amaramente che l’audio Natoli mostra l’esatto contrario di ciò che un CSM dovrebbe fare. Invece di garantire indipendenza e trasparenza, qui dei consiglieri aiutano sottobanco un magistrato “amico” compromettendo l’imparzialità del Consiglio.
Nel frattempo, l’Ufficio di Presidenza del CSM trasmette formalmente tutto il materiale alla Procura di Roma. I magistrati capitolini aprono un fascicolo e immediatamente iscrivono Rosanna Natoli nel registro degli indagati con le ipotesi di reato di abuso d’ufficio e rivelazione di segreto d’ufficio. Anche Maria Fascetto Sivillo viene tecnicamente considerata coinvolta, perché la sua azione di registrare e divulgare il segreto potrebbe configurare un concorso nel reato (ha istigato o comunque volontariamente diffuso il contenuto segreto). Tuttavia è chiaro che per i magistrati romani la posizione più grave è quella della consigliera.
A metà luglio 2024, Rosanna Natoli decide di fare un passo ulteriore: rassegna le dimissioni dalla Sezione Disciplinaredel CSM. Va precisato che non si dimette dal CSM in toto (quelle arriveranno più avanti, a danno fatto), ma lascia solo il suo ruolo nella Disciplinare, immaginando forse di poter mantenere il seggio di consigliera “semplice”. Ciò non basterà a salvarla. L’11 settembre 2024, il Plenum del Consiglio Superiore (cioè l’assemblea completa, inclusi i vertici) vota e approva – con la maggioranza qualificata richiesta – la sospensione dalle funzioni e dallo stipendio di Rosanna Natoli.
Una misura cautelare rarissima nei confronti di un consigliere togato o laico che sia. Basti pensare che su 33 aventi diritto al voto, 22 votarono a favore (il quorum era 21), 6 contro e 2 astenuti: segno di una certa divisività della decisione. Ma alla fine la linea dura passa. Natoli viene messa fuori gioco, formalmente “in pausa” in attesa che la giustizia faccia il suo corso.
Durante la drammatica seduta del Plenum, Natoli prova a difendersi con un ultimo accorato intervento (che suona quasi paradossale, considerando le sue colpe): denuncia di essere vittima di un “processo mediatico”, accusa i giornalisti di sessismo per aver insinuato che fosse al CSM “perché amica di La Russa” e non per merito, e soprattutto lancia l’allarme su quello che a suo dire è un precedente pericoloso – sospendere un consigliere solo perché indagato. Dice ai colleghi: “Basta che una Procura iscriva uno di voi (consiglieri) nel registro indagati, magari per reati inesistenti, e vi faranno sospendere…”.
In pratica, paventa che il suo caso diventi un modo per far fuori consiglieri scomodi. In molti le rispondono che qui non si tratta di una qualunque indagine, ma di fatti documentati e gravissimi. Natoli poi definisce “inconsistenti” le accuse a suo carico, ricordando che la violazione del segreto non è formalmente un reato tipizzato e che l’abuso d’ufficio era in via di abrogazione. Contesta anche la genuinità della prova audio, sostenendo che non essendo un’intercettazione ufficiale potrebbe essere manipolata o incompleta. Nessuno però le crede davvero: troppo nitide quelle voci, troppo esplicite le parole.
Con la sospensione di Natoli, il caso disciplinare Fascetto Sivillo viene congelato. La Disciplinare del CSM infatti si ritrova decapitata della sua relatrice e forse con più di un membro in imbarazzo (Taormina aveva addirittura presentato un’istanza di ricusazione di tutti i membri della sezione disciplinare, sostenendo che Natoli parlava al plurale compromettendo l’intero collegio). Non è noto se quel procedimento disciplinare sia stato poi ripreso con un nuovo collegio; in ogni caso la giudice nel frattempo era prossima alla pensione, e come vedremo, gli eventi successivi supereranno questa vicenda.
Parallelamente, la questione investe anche la politica: Natoli, ricordiamolo, era una rappresentante espressione di un partito di governo (FdI). La sua caduta rappresenta un colpo d’immagine per quella componente. Ma le reazioni politiche sono caute: il CSM in quel frangente era già nell’occhio del ciclone per la riforma in discussione (separazione delle carriere, ecc.) e nessuno spende particolari difese per la consigliera sospesa.
L’epilogo giudiziario: assoluzione in appello e un destino amaro
Mentre il terremoto investe il CSM, Maria Fascetto Sivillo ottiene una rivincita nei tribunali. Il suo processo di appello per la tentata concussione (cartelle esattoriali) giunge a conclusione il 7 marzo 2025. Ed è una vittoria per lei: la Corte d’Appello di Messina assolve/ proscioglie la Fascetto Sivillo da tutte le accuse. Tecnicamente, la formula adottata è doppia: prescrizione per le ipotesi più vecchie e assoluzione perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato per le ipotesi più recenti (riqualificate in abuso d’ufficio). Questo esito cancella la condanna a 3 anni e mezzo inflitta nei precedenti gradi di giudizio. Il nome di Maria Fascetto Sivillo viene riabilitato sul piano penale: niente carcere, niente macchia definitiva.
Va sottolineato che questo esito favorevole arriva in buona parte grazie a circostanze esterne: la nuova legge (entrata in vigore a fine 2023) che ha di fatto abolito l’abuso d’ufficio, rendendo non punibili condotte come quelle contestate a lei, e il trascorrere del tempo che ha falcidiato per prescrizione gli episodi più datati. Ma una vittoria resta una vittoria. Per Maria Fascetto è la conferma, quantomeno pubblica, di non essere una criminale. Anche l’immagine che lei ha sempre voluto dare – quella di una magistrata perseguitata per aver pestato i piedi a qualcuno – ne esce rafforzata. Del secondo processo (quello per calunnie) ancora non c’è esito e probabilmente si trascinerà oltre la sua vita.
Già, la vita. Perché c’è un ultimo, triste capitolo. Maria Fascetto Sivillo combatteva in parallelo un’altra battaglia, ben più difficile: quella contro un tumore maligno. Da tempo era malata, pareva in remissione, poi la malattia ha avuto il sopravvento. Le tensioni incredibili degli ultimi anni non possono aver giovato alla sua salute. Il 6 giugno 2025, pochi mesi dopo l’assoluzione, Maria Fascetto Sivillo muore in un letto d’ospedale a Catania.
Il suo legale e amico Carlo Taormina dà la notizia e lancia accuse pesantissime: “Maria Fascetto Sivillo è stata uccisa dalla giustizia italiana la notte scorsa”. Parole che fanno scalpore, ma che Taormina argomenta così: lo stress, l’ingiustizia, le “incredibili cattiverie” subite hanno abbassato le difese immunitarie della giudice, facendola ammalare di cancro. In sostanza, secondo lui, lo Stato l’ha logorata fino a spegnerla. E promette battaglia legale “contro chi ne ha provocato la morte”. Non è chiaro cosa intenda – forse un’azione risarcitoria verso il Ministero o denunce simboliche – ma il messaggio mediatico è lanciato.
Un sistema malato: riflessioni finali sul “caso Fascetto”
Cosa rimane di questa vicenda, al di là delle singole responsabilità penali e disciplinari? Dal nostro punto di vista investigativo, rimane l’immagine desolante di un sistema giudiziario con profonde crepe interne. Maria Fascetto Sivillo è stata al tempo stesso accusatrice e accusata, carnefice (per l’accusa) e vittima (per sua tesi). La sua storia mostra come faide personali e di corrente possano degenerare in guerre fratricide nelle istituzioni: colleghi che si denunciano a vicenda, consiglieri che promettono favori agli “amici degli amici”, linguaggi da caserma usati per parlare di giustizia (“cessa”, “pernacchie” – termini che mai vorremmo associare a un consesso di alto livello). Soprattutto, il caso Fascetto mostra come lo scandalo Palamara del 2019 abbia lasciato intatte le logiche di appartenenza, le cordate e il “verminaio” che la giudice denunciava. Anzi, cinque anni dopo proiettano ancora un’ombra inquietante sulle vicende attuali.
Certo, non bisogna mitizzare nessuno: Maria Fascetto Sivillo non era un’eroina pura e senza macchia. Dalle carte emergono zone d’ombra anche su di lei (per esempio, se davvero telefonò minacciosa per le sue cartelle esattoriali, è un comportamento grave per un magistrato, anche se non penalmente punibile in via definitiva). Era descritta da alcuni come una persona dal carattere difficile, che forse ha estremizzato ogni conflitto in una visione quasi paranoica del “tutti contro di me”. Ma la domanda sorge spontanea: quanto paranoica era davvero?
Il fatto che una consigliera del CSM abbia tentato di aggiustare il processo e sia stata colta in fallo conferma che i timori di Fascetto avevano basi reali. Lei sosteneva di essere vittima di un cerchio magico e in effetti una parte di establishment (Natoli & co.) anziché trattarla con imparzialità cercava di gestirla con metodi opachi, tra paternalismo e connivenze. Come ha scritto un osservatore, “impossibile immaginare l’esito dello scontro titanico che si preannuncia, impegnando perfino il Capo dello Stato, presidente del CSM”. E in effetti, la vicenda è arrivata fin sul tavolo di Sergio Mattarella, costringendolo a interventi straordinari per tutelare la tenuta dell’istituzione.
Un altro elemento di riflessione riguarda il linguaggio e l’etica. Sentire un alto consigliere dire “È amica degli amici, va aiutata” è uno schiaffo ai principi di merito e indipendenza. È il gergo del familismo amoraleapplicato alla giustizia. Allo stesso modo, l’uscita sessista su una collega “cessa” da non nominare più rivela un sessismo interno corrosivo (ed è ironico che Natoli poi accusasse i giornali di sessismo nei suoi confronti). C’è poi quell’ultima frase simbolica, le “pernacchie”, che suona come metafora di come certe denunce di malaffare rischino di finire: in una bolla di sapone, derise dai potenti. È un monito cinico: chi osa sfidare lo status quo può essere isolato e ridicolizzato.
Maria Fascetto Sivillo ha pagato caro il suo tentativo di “scoperchiare il verminaio”, per usare le parole di Taormina. Forse non era animata solo da senso di giustizia – c’era anche il suo orgoglio ferito e la voglia di rivalsa personale – ma nel portare alla luce quella conversazione segreta ha fatto un servizio alla collettività, squarciando il velo su meccanismi che altrimenti sarebbero rimasti occulti. Oggi lei non c’è più, ma restano aperte alcune questioni fondamentali:
- Come evitare che le correnti e le amicizie influenzino le decisioni disciplinari e le nomine dei magistrati? La riforma dell’ordinamento giudiziario dovrà tenere conto anche di questo caso per rafforzare regole e controlli.
- Quale tutela per i magistrati che denunciano il marcio nel proprio ufficio? Fascetto – al di là dei suoi torti – ha sollevato problemi reali (lo dimostra il fatto che è stata ascoltata dai pm di Perugia sul caso Palamara). Eppure è stata isolata. Come garantire che un “whistleblower” interno non venga distrutto dal sistema che vuole correggere?
- La vicenda Natoli insegna che servono forse criteri più stringenti nella scelta dei membri laici del CSM: persone di specchiata indipendenza, non “amici degli amici” piazzati per appartenenza politica. Diversamente, il rischio di nuovi casi del genere rimane concreto.
In conclusione, il caso Fascetto Sivillo è uno spaccato di come giustizia, potere e debolezze umane possano intrecciarsi pericolosamente. Da cronisti investigativi non possiamo che auspicare che su tutti questi fatti si faccia piena luce, nelle sedi penali e istituzionali opportune. L’auspicio è che le ombre vengano dissipate: solo la trasparenza e la legalità possono restituire credibilità a una magistratura che in questa storia non ha dato il suo migliore spettacolo. Come ha commentato un consigliere indipendente del CSM, Andrea Mirenda, dopo il caso Natoli: “Ombre inquietanti si proiettano sulla libertà futura del Consiglio… se basta un’indagine per sospendere un consigliere, ogni consigliere sgradito potrà essere minacciato”. Parole che sottolineano quanto sia delicato l’equilibrio tra punire i comportamenti deviati e non paralizzare l’autogoverno della magistratura.
Chi scrive, però, è convinto che in questa vicenda si dovesse intervenire con decisione: alcune azioni sono intollerabili, e l’impunità avrebbe fatto ancora più danno. “Il linguaggio è la casa dell’essere”, diceva un filosofo: ebbene, il linguaggio che abbiamo udito in quel famoso audio racconta di un essere malato, di un’istituzione che ha smarrito il rispetto di sé prima che degli altri. Curare questa malattia è imperativo.
Maria Fascetto Sivillo, nel bene e nel male, ha fatto detonare un bubbone. Starà a chi le sopravvive – nelle aule di giustizia e fuori – bonificare il terreno e impedire che vicende simili si ripetano. Il finale della storia, in fondo, non è ancora stato scritto: l’eredità di questo caso dipenderà dalle risposte che il sistema saprà dare. Noi continueremo a seguirlo, con occhio vigile e, se necessario, voce critica. Perché come diceva qualcuno, “chi ha paura della verità ha qualcosa da nascondere”. E in questa storia di paura ce n’è stata tanta, ma finalmente la verità è venuta a galla – a un prezzo altissimo. Facciamo in modo che non sia stato invano.
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