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Non solo nell’ospedale di Chieti i pazienti oncologici sono stati costretti a tornarsene a casa dopo i prelievi di sangue e senza avere indicazioni su come affrontare la seduta di chemioterapia, ma la stessa cosa è accaduta nella struttura barese.

di Antonio Del Furbo

“Non hanno fatto terapia perché era festivo”.

A raccontarci l’esperienza vissuta presso l’Istituto Tumori “Giovanni Paolo II” di Bari è una delle pazienti che giovedì mattina che venerdì 3 giugno si è recata in ospedale per le consuete cure.

“Io sono andata ieri per il lavaggio al Picc e non c’era neanche personale”

La signora Lory, che da tre mesi segue rigidamente il protocollo, doveva essere sottoposta al lavaggio del Picc. Il Picc è un catetere venoso inserito perifericamente all’altezza del braccio con l’aiuto di una ecoguida. Il tubicino arriva in una vena centrale del torace il catetere di silicone partendo, appunto, dalla vena del braccio. Insomma, una operazione molto importante e delicata che se omessa potrebbe portare a emorragia locale e infezione.

“C’erano solo due infermiere e una dottoressa e mancava l’oncologo” ci racconta ancora Lory. E quando ha provato a chiedere informazioni gli è stato risposto che quel giorno facevano solo visite.

“Quando me l’hanno detto sono rimasta malissimo”. Poi la signora torna con il ricordo ai primi di maggio:

“Io ho fatto la seconda chemioterapia il 2 maggio perché il primo lo stesso era tutto chiuso. Fanno i comodi loro sulla nostra salute e non va bene”.

La donna poi si sfoga e dice che oltre a tutto manca anche la cosa più importante:

“Non c’è mai un sorriso. Per parlare con l’oncologo si paga. Sono delusa e molto arrabbiata. Un giorno, con gli altri malati, stavamo chiamando i carabinieri. Per iniziare la chemioterapia dovetti litigare”.

Ora Lory è preoccupata perché attende con ansia settembre quando saprà come sta andando la chemioterapia e se ci sono miglioramenti.

“Da stamattina dai miei occhi scendono lacrime”.

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