Il confronto fra il sistema sanitario statunitense e quello europeo (e italiano) svela grandi differenze. Negli USA non esiste un servizio sanitario pubblico universale: la copertura medica è affidata per lo più a polizze private, spesso legate al datore di lavoro.
Sanità americana vs sanità italiana: prospettive e scontri sul modello. Gli americani spendono circa il 18% del PIL per la salute – molto più di altri paesi ricchi – ma hanno risultati peggiori: la speranza di vita media negli USA è fra le più basse al mondo, intorno ai 78,4 anni (2023), circa 4 anni in meno rispetto ai paesi OECD paragonabili. Al contrario, i sistemi sanitari pubblici europei, come quello italiano, garantiscono cure universali a tutta la popolazione, finanziate per lo più dalle tasse o dai contributi obbligatori.
In Italia (SSN) le prestazioni essenziali sono gratuite o coperte da un ticket ridotto. Nel 2022 l’Italia destinava alla sanità il 9% del PIL (circa 2.144 € per abitante), con il 74% della spesa finanziata da fondi pubblici e solo il 3% da assicurazioni private. Nonostante lo sforzo finanziario minore rispetto agli USA, l’Italia può vantare una vita media fra le più elevate: oltre 83 anni nel 2024, seconda in UE solo alla Spagna.
Di seguito analizziamo più in dettaglio le caratteristiche, i pro e i contro dei due modelli, soffermandoci su ticket, liste d’attesa e privato, e sul dibattito italiano sul futuro del SSN.
Modelli a confronto: Stati Uniti vs Europa (Italia)
- Organizzazione e copertura: Negli USA la sanità è regolamentata da un mix di assicurazioni private (in gran parte legate all’impiego), programmi pubblici limitati (Medicare/Medicaid) e autofinanziamento da parte dei pazienti. Non esiste un diritto costituzionale alla cura universale e circa 26 milioni di americani sono privi di polizza sanitaria. Invece in Europa la salute è un diritto universale: tutti gli Stati UE garantiscono cure a tutta la popolazione, anche se con due diversi modelli. Undici paesi (tra cui Italia) adottano un Servizio Sanitario Nazionalefinanziato con tasse generali, che copre gratuitamente (o quasi) i cittadini. Altri paesi (es. Germania, Francia) usano assicurazioni obbligatorie collettive a contributo, con tetti di spesa e partecipazione di assistiti più contenuti. In ogni caso in Europa lo Stato copre disoccupati e indigenti senza polizza e il 27% della popolazione non versa più contributi (anziani, casalinghe ecc.).
- Finanziamento e spesa complessiva: Gli USA spendono quasi il doppio in % del PIL rispetto all’Italia (18% vs 9%). Nel 2023 il totale italiano è stato circa 176 miliardi di euro, di cui 130 miliardi (74%) pubblici e 46 miliardi (26%) privati. Di questi ultimi 40,6 miliardi (88,6%) sono out-of-pocket (a carico diretto dei cittadini) e 5,2 miliardi (11,4%) intermediati da fondi o assicurazioni integrative. Negli USA una fetta rilevante della spesa sanitaria è gestita da compagnie di assicurazione private, con premi medi nel 2024 di circa 8.951$ per polizza individuale e 25.572$ per nucleo famigliare. Anche per chi ha assicurazione, ci sono franchigie e copay elevati.
- Qualità e risultati: Il sistema americano vanta tecnologie mediche avanzate e tempi brevi per chi può pagare, ma soffre di gravi lacune di equità e sostenibilità. Come sottolinea il Commonwealth Fund, “gli USA spendono quasi il 18% del Pil per la sanità, eppure gli americani muoiono prima e sono meno sani dei cittadini di altri paesi ricchi”. Infatti gli USA registrano le più alte mortalità evitabili e la speranza di vita più bassa tra i paesi OECD. In Italia, nonostante i limiti (liste d’attesa, burocrazia), la copertura estesa e la focalizzazione sulla prevenzione portano esiti globalmente migliori in termini di salute della popolazione (longévità, mortalità infantile, assistenza di base).
- Rischi di morosità e debiti: Negli USA anche in emergenza l’assistenza è garantita, ma chi non paga rischia pignoramenti e fallimenti personali. Un’ambulanza può costare 1.200$, un esame del sangue 3.000$, un trapianto di cuore 200.000$. La seconda fonte spesa per molti Americani è indebitarsi con mutui sulla casa. In Europa (Italia) cure urgenti/acute non sono negate, e le liste d’attesa riguardano quasi sempre prestazioni programmate per motivi economici o organizzativi, non per incapienza economica del paziente.
Pro e contro dei modelli sanitari
In sintesi, i due sistemi offrono benefici diversi:
- Sistema USA (privato) – Pro: forte specializzazione e ricerca medica, concorrenza che può stimolare innovazione, tempi brevi per prestazioni private e libertà di scelta fra prestatori.
Contro: costi sanitari elevatissimi (il 18% del PIL), iniquità di accesso (26 milioni non assicurati), forti oneri diretti sui pazienti, rischio alto di “poverty health” (rinunce alle cure per motivi economici), bassa longevità media. - Sistema Europa/Italia (pubblico) – Pro: copertura universale per tutti i cittadini, principio di equità e solidarietà sanciti anche dalla Costituzione, costi totali contenuti (intorno al 9-11% del PIL in media UE, includendo privato). L’assistenza primaria e la prevenzione sono particolarmente curate, garantendo risultati di salute comparabili o migliori con minori risorse.
Contro: lentezza e burocrazia, spesso carenza di posti letto e personale, che si traduce in liste d’attesa lunghe per visite ed esami. Questo può spingere alcuni pazienti a rivolgersi al privato. Inoltre la stagnazione o riduzione relativa dei finanziamenti (rispetto alla crescita economica) ha fatto aumentare la pressione sui ticket e sui fondi integrativi, con rischio di diseguaglianze di accesso.
Ticket sanitari e compartecipazione alla spesa
In Italia è previsto un ticket (copertura parziale) su alcune prestazioni specialistiche e farmaci, per contribuire alla spesa. Secondo l’AGENAS (agenzia del Ministero Salute), i ricavi da ticket nel 2022 sono stati circa 1 miliardo di euro, ovvero ~18 € pro capite. Questo è un dato inferiore al periodo pre-Covid, ma testimonia come il ticket pesi solo una parte limitata (pochi punti percentuali) del bilancio sanitario. Il ticket riguarda principalmente le visite specialistiche (96% degli introiti da ticket nel 2022), quasi nullo sui ricoveri. Complessivamente i ticket coprono attorno al 3–4% della spesa sanitaria totale.
Critici e medici osservano che livelli elevati di ticket rischiano di indurre i cittadini a rinunciare o “fuggire” dal SSN verso il privato convenzionato. In particolare, è noto che persone con reddito medio-basso a volte preferiscono attendere più a lungo le prestazioni nel pubblico piuttosto che sobbarcarsi l’onere completo nel privato. Tuttavia, molti studi segnalano che le esenzioni (per anziani, disoccupati, patologie croniche) tendono a mitigare l’impatto sociale dei ticket. Peraltro le risorse raccolte con i ticket (meno di 1 mld) sono minime rispetto ai 130 mld del Fondo sanitario nazionale.
Liste d’attesa ed esito delle cure
Un tema caldo in Italia è la tempi di attesa per visite, esami e interventi programmati. A causa di risorse finite e domanda elevata, molti pazienti devono attendere settimane o mesi per prenotare cure non urgenti. L’ISTAT segnala che nel 2024 quasi 1 italiano su 10 (9,9%) ha dovuto rinunciare ad una visita o esame specialistico (o l’ha rimandato) a causa delle code troppo lunghe o delle difficoltà economiche. In particolare, 6,8% della popolazione ha indicato esplicitamente i ritardi come motivo di rinuncia, una percentuale in crescita di 4 punti rispetto al 2019. Questo evidenzia un allarme sociale: rinunciare alla prevenzione o ai controlli può avere gravi conseguenze di salute a medio-lungo termine.
Le liste d’attesa inducono anche una quota significativa di italiani a rivolgersi al privato pagante. Nel 2024 circa il 24% della popolazione ha usufruito di prestazioni private senza copertura assicurativa. Tale fenomeno riflette sia la maggiore offerta privata (strutture con accordi o intramoenia) sia la domanda di prestazioni più rapide. In pratica, chi può pagare trova vie alternative; chi non può resta in attesa nel SSN. Di contro, negli USA la “lista d’attesa” non si misura in giorni ma in capacità economica: chi ha copertura paga e riceve subito, gli altri restano scoperti. Nell’insieme, il sistema italiano – pur con i suoi limiti – evita l’endemico problema dei non-assicurati degli USA, ma va migliorato nel garantire tempi accettabili a tutti.
Sanità privata e pubblico-privato in Italia
In Italia molte prestazioni sanitarie sono erogate da strutture private accreditate, cioè inserite nel circuito del SSN e pagate con fondi pubblici. Spesso si usa il termine “privatocrazia” per descrivere come oggi quasi la metà delle cure croniche o residenziali sia gestita da privati. Secondo stime di esperti, circa il 60% dei fondi pubblici per la salute finisce oggi a strutture private (ospedali, poliambulatori, farmacie contrattualizzate). Più del 50% delle strutture dedicate alle malattie croniche e oltre l’80% di quelle di ricovero prolungato (assistenza residenziale) sono di proprietà o gestione privata. Ciò significa che, sebbene finanziato dallo Stato, il SSN utilizza ampiamente fornitori privati.
A complemento del SSN, esistono i fondi sanitari integrativi e le polizze assicurative private. Questi strumenti integrativi coprono prestazioni extra o più rapide (es.: visite specialistiche aggiuntive, cure odontoiatriche, ecc.). La legge impone però che tali forme non sostituiscano il SSN, che rimane il “primo pilastro” universale garantito dalla Costituzione. Secondo la norma, i fondi integrativi sono destinati alle prestazioni non essenziali e non incluse nei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza). In realtà, negli ultimi anni la spesa privata delle famiglie italiane è in leggera crescita: l’ultima stima ISTAT dà ~45,9 miliardi di spesa privata nel 2023 (23% del totale), in aumento del 10% sul 2022. Di questi, oltre l’88% è OOP e solo l’11% intermediato (fondi/assicurazioni). La quota di privato intermediato (5,2 mld) appare ancora modesta, in larga parte dovuta alle detrazioni fiscali per i fondi aziendali introdotte negli ultimi anni.
La crescente presenza di privati genera un dibattito acceso: alcuni avvertono che lo Stato italiana sta parzialmente delegando la gestione della sanità a soggetti privati, che agiscono “come braccio dello Stato”. Critici ricordano che le politiche di “partenariato pubblico-privato” e la liberalizzazione degli appalti sono spinte ideologiche ispirate al neoliberismo, che in altri contesti hanno portato a inefficienze e costi maggiori. Tuttavia, va notato che il modello italiano non è semplicemente il modello americano trasposto: come sottolinea Cordelli, non si tratta del classico “tutto privato” degli USA, ma di un sistema in cui i privati agiscono ancora sotto regole pubbliche. In altre parole, l’Italia non è (ancora) in un sistema di sanità privata pura, ma nemmeno in un puro monopolio pubblico: è una via di mezzo che alcuni definiscono ibrida.
Il dibattito in Italia: verso il modello americano?
La domanda se l’Italia stia scivolando verso un sistema “all’americana” è oggetto di accesi dibattiti politici e sociali. Ufficialmente, nessun partito italiano propone apertamente di privatizzare il SSN come negli USA, dove la sanità non è un diritto costituzionale. Anzi, tutti i principali attori politici dichiarano il sostegno al carattere universalistico del SSN. Ad esempio, nella “sfida in Aula” del maggio 2025 il Governo Meloni ha rivendicato l’aumento storico del Fondo sanitario nazionale (passato da 126 a 136,5 miliardi di euro) e ha negato di favorire il privato. Il premier ha fatto notare che gli incrementi di spesa sotto il suo mandato sono stati più elevati che in passato e che il Governo ha anzi limitato abusi come i “medici a gettone” e l’intramoenia straripante.
Dall’altro lato, PD, M5S e alcune organizzazioni sindacali accusano il Governo di introdurre di fatto misure privatistiche – ad esempio sottolineano l’allargamento delle detrazioni fiscali per le polizze sanitarie – e chiedono di rafforzare gli investimenti pubblici. In realtà, al momento il quadro normativo non prevede un piano dichiarato di “americanizzazione” della sanità: i decreti attuativi per ridurre le liste d’attesa sono in arrivo (alcuni in ritardo) e l’attenzione del SSN rimane principalmente sulla sanità territoriale, la prevenzione e il ruolo del medico di base.
Più in generale, sul piano internazionale la pressione a tutelare il servizio sanitario nazionale arriva da diverse fonti: l’Unione Europea insiste su principi di universalità (vale la Carta europea dei diritti sociali) e finanzia progetti di rafforzamento del SSN (es. nella missione Salute del PNRR). Organismi come l’OCSE e il Fondo Monetario Internazionale, al contrario, richiamano spesso i governi al contenimento della spesa pubblica e all’efficienza, proponendo talvolta privatizzazioni e partenariati pubblico-privato. Secondo alcuni analisti, queste pressioni internazionali si traducono anche in leggi di bilancio restrittive in sanità. Tuttavia in mancanza di un consenso politico netto, ogni cambiamento sostanziale sembrerebbe più un aggiustamento per efficienza che un rovesciamento dell’impianto universalistico.
Il sistema sanitario americano rappresenta un modello estremo di sanità privata: efficiente per chi ha risorse, ma rischioso per chi non ne ha, e con risultati complessivamente inferiori alle aspettative (elevati costi con esiti mediocri). Il modello italiano ed europeo, fondato sull’universalità, ha finora garantito copertura e buoni livelli di salute per la popolazione con costi contenuti, sebbene al prezzo di inefficienze e lunghe attese in alcune cure.
Nel confronto pro e contro, l’Italia mantiene – grazie anche all’articolo 32 Costituzionale – un forte orientamento solidaristico, mentre permangono pressioni a introdurre elementi di mercato (ticket più alti, fondi integrativi, outsourcing). Il bilancio tra le due direzioni non è chiaro. Finora non c’è un progetto compiuto di privatizzazione del SSN, ma la tendenza a spostare risorse verso forme di sanità integrativa e convenzioni private è in aumento. Secondo alcuni osservatori, questo non equivale a copiare il modello USA (ove lo Stato non garantisce cure gratuite), ma può essere visto come un’erosione graduale del servizio pubblico, sotto le vesti di una “privatizzazione amministrativa”.
Dunque?
In definitiva, l’Italia non sembra vicina a diventare una «Sanità a stelle e strisce», ma resta essenziale vigilare affinché il sistema pubblico non si indebolisca troppo: l’esperienza globale mostra che un eccesso di privatizzazione in sanità può minacciare equità e democrazia. Le cifre ufficiali e i documenti di ricerca suggeriscono infatti che continuare ad investire nel SSN (riducendo sprechi e inefficienze) è la via più sicura per garantire salute a tutti i cittadini, senza dover rivolgersi a un modello americano che, finora, non ha dimostrato di funzionare meglio.
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