Trump, militari e proteste: la democrazia americana sull’orlo del baratro
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Mentre Trump rivendica il merito di aver sedato la protesta a Los Angeles, la California lo accusa di abuso di potere. E intanto l’America sprofonda in una nuova stagione di tensione civile.

Trump invia Marines a L.A. per sedare le proteste contro i raid migratori. Newsom: “Abuso di potere”. Gli USA in allerta.

Negli Stati Uniti è tornata a soffiare un’aria pesante, da stato d’emergenza. Dopo i controversi raid dell’immigrazione a Los Angeles, ordinati dall’amministrazione Trump, centinaia di manifestanti sono scesi in piazza nelle principali città americane per denunciare quella che molti considerano una deriva autoritaria.

L’epicentro delle tensioni è la California. Il governatore Gavin Newsom ha denunciato pubblicamente l’invio di truppe federali come “un oltraggioso abuso di potere” da parte del presidente Trump. Secondo Newsom, la scelta di dispiegare quasi 5.000 tra Marines e membri della Guardia Nazionale senza l’assenso delle autorità statali rappresenta un precedente pericoloso, una forzatura che “mette in pericolo la democrazia americana”.

Il copione già visto della forza militare

A Los Angeles, da giorni in stato di agitazione, è scattato il coprifuoco notturno. Le proteste, iniziate venerdì scorso nel quartiere della moda — dove si sono concentrati i primi raid migratori — sono rapidamente degenerate. Alcuni episodi violenti, come lanci di oggetti contro le forze dell’ordine e atti di vandalismo, sono stati usati da Trump come giustificazione per un intervento militare diretto.

“Con quello che ho fatto, ho fermato la violenza a L.A.”, ha dichiarato il presidente dallo Studio Ovale. Ma per molti, incluso il governatore californiano, si tratta di una narrazione distorta, una lettura propagandistica che maschera l’imposizione della forza militare su scala nazionale.

Proteste in tutta l’America

Intanto, le proteste si sono estese ben oltre la California. A Chicago, manifestanti hanno assalito veicoli della polizia; a New York, decine di arresti nei pressi degli edifici federali; ad Atlanta, le forze dell’ordine hanno fatto uso di gas irritanti per disperdere un presidio su un’autostrada. Sono attesi nuovi cortei in città come Las Vegas, Minneapolis, San Antonio e Seattle, in un crescendo che culminerà sabato con una manifestazione nazionale in concomitanza con la parata militare a Washington D.C., evento previsto per celebrare i 250 anni dell’Esercito degli Stati Uniti e il compleanno di Trump.

Un evento che, secondo molti osservatori, rischia di trasformarsi in una celebrazione della repressione, un tentativo goffo e pericoloso di far coincidere il patriottismo con la forza militare.

Un paese militarizzato

Il punto più critico di questa vicenda è la militarizzazione del suolo americano. L’annuncio dell’arrivo di 700 Marines a Los Angeles, confermato dal Comando Settentrionale degli Stati Uniti, ha suscitato proteste anche a livello giudiziario: un giudice federale in California ha fissato un’udienza per giovedì in merito alla richiesta di limitare i poteri delle truppe impiegate.

Mentre il governatore repubblicano del Texas, Greg Abbott, ha già ordinato il dispiegamento della Guardia Nazionale sul territorio statale — primo fra i suoi omologhi — fonti interne al Pentagono confermano che si sta valutando l’estensione della presenza militare anche ad altre città. Una strategia che, di fatto, configura un’escalation senza precedenti in tempi di pace.

Cosa sta succedendo davvero?

L’origine della protesta è legata ai raid dell’ICE (Immigration and Customs Enforcement), che hanno coinvolto centinaia di migranti — molti dei quali con regolari permessi in fase di verifica — nel quartiere della moda di Los Angeles. L’impiego di truppe armate della Guardia Nazionale al fianco degli agenti federali, fin dalle prime operazioni, ha alzato la tensione a livelli altissimi.

A oggi, secondo fonti ufficiali, sono stati arrestati oltre 330 manifestanti solo a Los Angeles, più di 240 a San Francisco e decine in altre città come Austin, Texas. Le autorità californiane definiscono l’intervento delle forze federali non solo “provocatorio”, ma anche giuridicamente discutibile.

L’effetto domino

“California may be first, but it clearly won’t end here. Other states are next. Democracy is next”, ha dichiarato Newsom. È un monito che pesa come un macigno: se la militarizzazione federale contro le decisioni statali diventa la norma, allora la divisione dei poteri — principio cardine della democrazia americana — rischia di saltare.

E se il silenzio degli altri governatori democratici per ora prevale, cresce anche tra i repubblicani più moderati il disagio per un presidente che pare voler usare la forza armata come strumento politico.


La linea di confine tra ordine e repressione si fa sempre più sottile.

Quello che succede in California oggi potrebbe essere il preludio di una nuova stagione di scontri tra potere federale e stati sovrani. E mentre le città si preparano a nuove proteste e i cittadini vengono ammoniti, la domanda resta una: quanto manca al punto di rottura?

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