Vitalizi, la rivolta degli ex deputati: in 1.400 contro il taglio deciso da Roberto Fico
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In questi giorni a Montecitorio si è riaccesa la questione dei vitalizi. Circa 1.400 ex deputati si sono rivolti al Collegio d’Appello della Camera (un tribunale interno formato da cinque deputati in veste di giudici) per chiedere di annullare la delibera varata nel 2018 dall’allora presidente della Camera Roberto Fico.

Vitalizi, la rivolta degli ex deputati: in 1.400 contro il taglio deciso da Roberto Fico. Quel provvedimento aveva applicato suggerimenti dell’allora presidente dell’Inps Tito Boeri, imponendo il calcolo contributivo degli assegni vitalizi: in pratica gli assegni venivano ricalcolati moltiplicando i contributi versati per un coefficiente basato sull’età del parlamentare, anziché mantenerli integrali. L’effetto fu drastico: molti ex deputati videro decurtati gli assegni fino al 90%. Soprattutto i più anziani, anche ultra‑centenari ospitati in RSA, si trovarono dall’oggi al domani con pensioni ridicole, creando drammi personali.

Ora questi 1.400 ricorrenti (in gran parte parlamentari “più giovani” rimasti al di sotto di una certa soglia anagrafica) chiedono alla Camera di rivedere il taglio del 2018. Mercoledì scorso si è tenuta la prima udienza del Collegio d’Appello di Montecitorio, presieduto da Ylenia Lucaselli (Fratelli d’Italia). Durante la lunga mattinata si sono susseguiti gli avvocati dei ricorrenti (con qualche scambio di battute teso); alla fine, il collegio si è riservato di decidere in seguito sulla sentenza.

Le ragioni del ricorso e il quadro storico

Il cuore del contendere è l’applicazione retroattiva del nuovo metodo di calcolo imposto dalla delibera del 2018. Quella delibera – non una legge votata dal Parlamento ma una decisione dell’Ufficio di Presidenza – stabiliva che il vitalizio, da allora in poi, venisse calcolato con criteri contributivi. Di fatto l’assegno è stato «ricalcolato sulla base di coefficienti in cui rientravano non solo il monte dei contributi versati, ma anche gli anni in cui si era beneficiato di un assegno». In poche parole: le somme già incassate dopo la fine del mandato sono state rimesse in gioco come se fossero contributi futuri. I ricorrenti sostengono che questo stravolge il diritto acquisito: per loro il vitalizio era «un diritto, una promessa, una certezza» calcolata come ai vecchi criteri.

Nel 2018 l’iniziativa era stata giustificata come risparmio per le casse di Montecitorio: in media si stimava un taglio che avrebbe portato a risparmiare milioni di euro l’anno. Ma molti ex parlamentari e i loro legali giudicano il meccanismo «arbitrario e ingiusto», per due motivi principali: anzitutto perché non esiste un montante contributivo su cui applicare il coefficiente (gli anni passati in Parlamento non sono stati trattati come contribuzione previdenziale normale); poi perché il taglio è intervenuto retroattivamente sul diritto già in godimento, contravvenendo al principio della legittima aspettativa. Come nota ironicamente una voce critica, l’argomento dei ricorrenti può essere riassunto così: «siccome ci hanno sempre dato tanto, non potete togliercelo così».

Va ricordato che prima di questo ricorso 2025 vi è stato un altro precedente giudiziario rilevante.

Nel 2022 un gruppo di ex deputati più anziani – in gran parte nati prima del 1952 – aveva vinto un primo grado interno. Il Consiglio di Giurisdizione della Camera (equivalente al tribunale di primo grado interno) e poi lo stesso Collegio d’Appello avevano dato ragione ai ricorrenti, stabilendo che il ricalcolo dei vitalizi doveva partire non dal momento del primo pagamento del vitalizio, bensì dal 2022, e che il principio di legittima aspettativa imponeva di non applicare retroattivamente i nuovi coefficienti. In quell’occasione il tribunale interno aveva fatto propri i principi costituzionali di ragionevolezza e protezione della “aspettativa” maturata: in sostanza, l’assegno già erogato fino al 2021 veniva lasciato integro, mentre le riduzioni contavano solo dal 2022 in poi.

L’anno scorso invece una seconda ondata di ricorsi – promossa da ex parlamentari anagraficamente “più giovani” (nati dopo il 1952) – fu respinta: il Consiglio di Giurisdizione li ha giudicati inadmissibili o infondati, probabilmente considerando l’impatto economico sul loro vitalizio meno gravoso. Questi esiti hanno spinto ora 1.400 tra i ricorrenti più giovani a insistere fino al secondo grado interno, sperando in una diversa valutazione. In fondo, come commenta un’articolista, la battaglia legale si svolge in un «tribunale condominiale in giacca e cravatta, dove si discutono le cause tra ex inquilini del potere».

La prima udienza: tensioni in aula

Mercoledì si è dunque riunito a Montecitorio il Collegio d’Appello (o “Tribunale interno” della Camera) per il primo confronto. La sessione è durata l’intera mattina. Il collegio è presieduto dall’on. Ylenia Lucaselli (FdI) ed è composto anche da due avvocati della Lega e di FI (Ingrid Bisa e Pietro Pittalis), un esponente del PD (Marco Lacarra) e un del M5S (Vittoria Baldino). A difendere i 1.400 ricorrenti si sono alternati diversi legali; tra questi Maurizio Paniz (già parlamentare e ora avvocato) ha acceso gli animi sin dall’inizio, invitando i componenti del collegio «a comportarsi come veri giudici e non come rappresentanti politici».

La presidente Lucaselli ha reagito in modo acceso, secondo i resoconti: è stato un momento “inedito e teso” in cui si è avvertito il confine tra giudizio e fazione politica. Al termine dell’udienza il collegio non ha emesso immediatamente la sentenza ma si è riservato di decidere successivamente. In base al regolamento interno, i giudici di secondo grado potrebbero impiegare da qualche settimana a un paio di mesi per depositare la motivazione e la decisione finale. Nel frattempo il dibattito mediatico sulla questione resta aperto e vivace.

Costi e polemiche

L’aula di Montecitorio in seduta – un’immagine di grande suggestione istituzionale – ci ricorda che questa controversia riguarda tuttavia una questione interna agli ex deputati, non un dibattito pubblico. Da un lato ci sono le ragioni di bilancio: gli oppositori del ricorso sottolineano che i vitalizi attuali costano alla collettività somme enormi. L’analisi de Il Fatto Quotidiano di aprile 2023 rilevò che in quarant’anni la Camera aveva versato complessivamente oltre 4,5 miliardi di euro in vitalizi, mentre gli ex deputati avevano pagato contributi per poco più di 320 milioni. Guardando questi dati, il Collegio d’Appello (all’epoca presieduto dall’avv. Andrea Colletti) concluse che il taglio dei vitalizi era non solo legittimo, ma persino «doveroso», per evitare il default del sistema pensionistico della Camera. In pratica, la riforma del 2018 mirava a mettere un limite a un assegno che ormai rischiava di creare un «punto di non ritorno» ai conti pubblici.

La mobilitazione dei ricorrenti

Dall’altro lato, però, c’è la mobilitazione dei ricorrenti che chiedono rispetto delle regole già in vigore al loro momento del pensionamento. Alcuni osservatori politici (ad esempio Andrea Fiore sul blog Politopoli) ironizzano sul fatto che «chi lavora 40 anni prende una pensione che non basta per la spesa, chi guadagna 800 euro fa la fila alle poste, ma dentro il Parlamento si difende una legittima aspettativa di privilegio». In pratica i ricorrenti sostengono che, avendo percepito fino al 2019 i vitalizi in un certo ammontare, era lecito aspettarsi di continuare a riceverli con ragionevolezza, non essendo stati avvisati in tempo di un possibile cambio delle regole.

Fiore sottolinea come perfino esponenti del centrodestra – un tempo scatenati contro i “privilegi” parlamentari – oggi abbiano fatto valere i nuovi rapporti di forza interne e tacciano, evitando di contrariare un’ampia fetta di ex colleghi. E mentre i parlamentari fanno causa alla Camera, molti cittadini esterni al loro mondo non possono fare a meno di notare la contraddizione: «Chi ha già il piatto pieno vuole ancora di più, mentre chi ha poco deve fare il bravo e ringraziare». Questo contrasto socio-politico contribuisce ad alimentare la vivace polemica: da una parte l’istanza dei ricorrenti è inquadrata come difesa di un diritto acquisito; dall’altra come una rivendicazione che sembra ignorare l’«irragionevolezza» dei costi complessivi sostenuti dal pubblico.

Prossime mosse e riflessioni

Le partite giudiziarie sui vitalizi non sono ancora concluse. Se il Collegio d’Appello dovesse decidere a favore dei ricorrenti – ponendo quindi un freno all’effetto retroattivo della delibera Fico anche per questa fascia di ex deputati – la scelta potrebbe essere di grande impatto politico ed economico. Di converso, un eventuale rigetto del ricorso confermerebbe la legittimità delle regole interne e manterrebbe i risparmi di spesa previsti. In ogni caso, la decisione del Collegio non pone fine a ulteriori vie di ricorso: se i deputati perderanno in secondo grado, potranno ancora eventualmente rivolgersi alla giustizia ordinaria (Tribunale amministrativo) per contestare il principio costituzionale della misura.

E per finire…

Va infine ricordato che questioni analoghe hanno interessato anche il Senato: infatti anche lì fu approvata nel 2018 una deliberazione di taglio dei vitalizi, finita a sua volta al vaglio dei giudici interni e della Consulta. In sede di conflitto di attribuzione (giudizio contro conflitti di poteri Stato), la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili alcuni profili relativi alla riforma del Senato. Ma per ora il focus resta sul caso Montecitorio. In attesa della sentenza del Collegio d’Appello – che probabilmente arriverà entro l’autunno – questa vicenda continua a rimanere sotto i riflettori.

Essa solleva interrogativi profondi sul rapporto fra vincoli di bilancio, leggi interne del Parlamento e diritto soggettivo dei singoli: alla fine potrebbero essere i giudici a stabilire se il taglio del 2018 era un «ripristino di equità» o un ingiustificato ritocco di un accordo implicito tra Stato e politici. In ogni caso, l’esito di questa battaglia legale farà giurisprudenza nel modo di gestire i privilegi parlamentari nel nostro ordinamento

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