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Cesare Battisti: giustizia penale o politica?

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Ora che Cesare Battisti è stato riportato in Italia per “farlo marcire in galera” come riferito dal ministro dell’Interno, Matteo Salvini, siamo tutti un po’ più tranquilli. Al netto delle sceneggiate politiche (che fanno sempre comodo per radicalizzare lo scontro e portare voti al governo) cerchiamo di capire perché Battisti non rimarrà in carcere e, soprattutto, qual è la sua condanna.



Partendo dal Brasile, la terra che ha ospitato Battisti fino alla sua cattura, Igor Fuser (giornalista, professore del corso di Relazioni Internazionali dell’Università Federale dell’ABC (UFABC), dottorato in Scienze politiche presso la Facoltà di Filosofia, Lettere e Scienze umane dell’Università di San Paolo) spiega perché il popolo brasiliano avrebbe dovuto solidarizzare con Cesare Battisti in questo momento cruciale in cui sono in gioco, nello stesso tempo, il suo personale destino e quello collettivo del Paese.

Tra queste ragioni la più importante, ovviamente, è che Battisti è innocente. “L’episodio della sua condanna in Italia è uno scandalo paragonabile alla farsa giudiziaria montata dal giudice Sergio Moro contro l’ex presidente Lula” spiega Fuser. Battisti, che venne arrestato negli anni 70 per la sua partecipazione ad un gruppo di estrema sinistra, fu condannato ad una pena di tredici anni per diversi delitti politici, come l’eversione. Dunque, la sua fuga dal carcere per riparare in Francia, dove ottenne asilo politico. “Fu solo allora che la magistratura italiana, come per vendetta – continua ancora il professore – decise di accusarlo dell’assassinio di quattro persone (tre dei quali, fascisti coinvolti in diversi fatti di violenza). Senza alcuna prova che non fosse la delazione premiata di suoi ex compagni, che in tal modo riuscirono ad ottenere sconti di pena, Battisti fu condannato all’ergastolo.”

L’altro aspetto, il secondo, è quella delle persecuzione politica: “Battisti viene perseguitato perché è un uomo di sinistra. Il caso costituisce una delle principali priorità per l’estrema destra italiana in ascesa, che non sta più nella pelle per trarre politicamente vantaggio dallo spettacolo mediatico dell’estradizione.” Esercitando pressioni sul Brasile, il governo italiano, secondo lo scrittore, avrebbe messo in discussione la sovranità politica del Brasile, giungendo al punto di minacciare, nel 2014, il boicottaggio della Coppa del Mondo.

Celso Lungaretti, giornalista e attivista brasiliano, l’estradizione di Battisti “la sentenza che l’Italia vuole far valere non solo si è prescritta nel 2013 ma per “le leggi brasiliane” non è prevista l’estradizione per “chi deve scontare nel suo Paese d’origine una pena superiore ai trent’anni di reclusione”.

Dunque, l’estradizione di Cesare Battisti rappresenta una grave violazione del principio di certezza del diritto. La decisione di Lula, che rifiutò la richiesta di estradizione nel 2010, è stata confermata l’anno seguente dal Stf. Un decreto che venne di nuovo sottoposto all’esame del Stf, che l’approvò l’11 giugno 2011 per sei voti contro tre. I sei giudici che votarono a favore della decisione di Lula e per il rigetto del ricorso dell’Italia erano Fux, Levandowski, Marco Aurélio, Carmen Lúcia, Ayres de Brito e Joaquim Barbosa. Da allora, evidentemente, “Battisti non è stato più un rifugiato politico, ma un immigrato con residenza permanente, condizione che conserva ancor oggi. Tollerare il suo arresto e la consegna a un governo straniero significa ammettere che le garanzie giuridiche non valgono più nulla in Brasile, esattamente come accadde durante i ventuno anni della dittatura militare, i tempi della tirannia che i fascisti stanno cercando di instaurare un’altra volta”.

Battisti, che è appena rientrato in Italia per essere arrestato, è sposato con una brasiliana e ha un figlio brasiliano. Ha sempre rispettato le leggi brasiliane e ha svolto dignitosamente la sua professione.

Come da più parti è stato rilevato, tanto furore non era mai stato esercitato nei confronti, per esempio, di Delfo Zorzi, quando era sospettato di essere coautore della strage di Piazza Fontana e fuggì in Giappone. Nessun sollevamento popolare nemmeno per i membri delle Forze dell’ordine uccisori, dagli anni Settanta a Genova 2001, di oltre un centinaio di militanti di sinistra, tutti quanti assolti da giudici compiacenti e da politici complici. Nessuna condanna nemmeno per gli autori del massacro del Circeo.

Cesare Battisti chi?

Battisti fu arrestato durante alcune retate che colpirono il Collettivo Autonomo della Barona (quartiere di Milano), dopo che, il 16 febbraio 1979, venne ucciso il gioielliere Luigi Pietro Torregiani che, assieme a un conoscente, aveva ucciso Orazio Daidone. Quest’ultimo, insieme a un altro complice, presero d’assalto il ristorante Il Transatlantico in cui cenava in folta compagnia. Torregiani fu colpito  intendeva come simbolo a chi voleva farsi giustizia da solo. Cesare Battisti non partecipò all’uccisione di Torregiani semplicemente perché fu coinvolto nell’uccisione del macellaio Lino Sabbadin, avvenuta in provincia di Udine lo stesso 16 febbraio 1979, quasi alla stessa ora della morte di Torregiani. Dunque il figlio di Torregiani, Alberto, rimasto poi paraplegico, sarebbe stato ferito per errore dal padre. Gli assassini reali (Sebastiano Masala, Sante Fatone, Gabriele Grimaldi e Giuseppe Memeo) furono catturati poco tempo dopo l’agguato, e hanno scontato condanne più o meno lunghe.

Per il procuratore Armando Spataro fu Battisti  a giustiziare Luigi Pietro Torregiani, reo di avere reagito con le armi a una rapina che aveva subito.

In sede processuale, e in via deduttiva, Battisti fu giudicato tra gli “organizzatori” dell’omicidio Torregiani. Secondo il dissociato Arrigo Cavallina, avrebbe partecipato a riunioni in cui si era discusso del possibile attentato, senza esprimere parere contrario. “Battisti era accusato dal pentito Mutti di avere svolto ruoli di copertura nell’omicidio Sabbadin, e poiché gli attentati Torregiani e Sabbadin erano chiaramente ispirati a una stessa strategia (colpire i negozianti che uccidevano i rapinatori), ecco che Battisti doveva essere per forza di cose tra gli “organizzatori” dell’agguato a Torregiani, pur senza avervi partecipato di persona”. Il militante dei PAC Diego Giacomin si dissociò da questa rivelazione e disse di essere stato lui stesso a uccidere il negoziante. Non fece altri nomi. Il sostituto procuratore Alfonso Marra, incaricato di riferire al giudice istruttore Maurizio Grigo, dopo avere derubricato i reati commessi dagli agenti della Digos da “lesioni” a “percosse” per assenza di segni permanenti sul corpo riferisce Carmilla, “concludeva che la stessa imputazione di percosse non poteva avere seguito, visto che gli agenti, unici testimoni, non confermavano. Dal canto proprio il PM Corrado Carnevali, titolare del processo Torregiani, insinuò che le denunce di torture fossero un sistema adottato dagli accusati per delegittimare l’intera inchiesta”.

Battisti rinunciò a difendersi perché i militanti dei Pac si proclamavano prigionieri politici, e rinunciavano alla difesa perché non riconoscevano la “giustizia borghese”.

Oggi proprio Pietro Mutti, ex membro di Prima Linea, ovvero l’uomo che aiutò il terrorista ad evadere dal carcere di Frosinone prima di far perdere le sue tracce in giro per il mondo, è convinto che “Questa storia doveva finire tanto tempo fa – dice – . Il periodo delle provocazioni è finito, ora Battisti si faccia la sua galera e non rompa le scatole. Anche se non credo che andrà così”. Ne è convinto: “Vedrà che troverà una scusa – spiega a La Verità – Secondo me non starà molto in cella. Addurrà motivi di salute. Logicamente qualche anno lo sconterà, ma di sicuro non è il tipo che morirà in gabbia.

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