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Cosa Nostra trema: parla Vito Galatolo, l’uomo che ha rivelato l’esistenza del piano di morte per il pm Di Matteo

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“Sono soggetti esterni alla mafia quelli che vogliono far fuori il giudice” ha detto il pentito. 

Il boss di Acquasanta, detenuto al 41bis, ha detto di voler contribuire alla verità per evitare altre stragi. Vito Galatolo è il rappresentante della famiglia più conosciuta di Cosa Nostra da sempre sospettata di essere la punta di collegamento con i servizi segreti deviati.

Fedelissimi dei Corleonesi, vantano un ampissimo curriculum criminale. Furono loro a pianificare l’attentato del 1989 a Giovanni Falcone presso l’Addaura. Oltre venti anni Vito decide di collaborare con la giustizia dopo essere stato arrestato a giugno in seguito ad una precedente condanna a 6 anni scontato a Mestre sotto stretta sorveglianza. 

Il boss non è il primo della famiglia ad essersi pentito. Prima di lui chiese la collaborazione la sorella Giovanna Galatolo, figlia, come lui, di Vincenzo ‘il Tripolitano’, già condannato per le stragi del ’92.

Ieri il boss ha incontrato il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi e il procuratore di Caltanissetta Sergio Lari. Galotolo ha fornito informazioni molto dettagliate sul piano di morte deciso per il pm Nino Di Matteo. Quel “turbamento interiore” che avrebbe spinto il boss a parlare con i magistrati appare poco credibile. Un turbamento avuto dopo aver partecipato nel dicembre 2012 a riunioni e preparativi per colpire Di Matteo. Al momento l’unica cosa che appare chiara è che il boss pare voglia puntare il dito verso nomi eccellenti.

All’eliminazione del magistrato – avrebbe dichiarato Vito – sono interessate anche entità esterne“. Proprio per il fatto che Galatolo sia sempre stato vicino all’apparato deviato dello Stato pare ci sia turbamento tra i boss di Cosa Nostra che potrebbero decidere una risposta incontrollata.

Nel Fondo Pipitone, di cui era proprietario Vincenzo Galatolo, negli anni ’90 i killer si addestravano per condurre le cosiddette ‘azioni di morte’. Tra questi anche Vito che ebbe il compito di minacciare il sindacalista Gioacchino Basile, che per primo denunciò infiltrazioni mafiose nei Cantieri Navali, e Gregorio Porcaro il prete di strada che voleva riprendere il messaggio di Padre Puglisi ma che invece oggi, dopo aver lasciato il sacerdozio, fa l’insegnante. 

 La storia ci dice che le mafie cominciano ad alzare la testa quando non controllano più territorio ed economia. Hanno più paura perché, nel momento in cui i semi cominciano a sbocciare, possono perdere il predominio. Ecco perché uno come Totò Riina può decidere che un uomo come Luigi Ciotti debba essere ucciso” ha dichiarato Porcaro.

ZdO

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