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MORTE MOROSINI:«IL DEFIBRILLATORE DOVEVA ESSERE USATO»

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E’ quanto si evince dalla perizia dei tre consulenti nominati dal gip del tribunale di Pescara Maria Michela Di Fine per fare luce sulla morte di Morosini, avvenuta il 14 aprile scorso a seguito di un malore avuto durante l’incontro Pescara – Livorno.

I tre periti avevano ricevuto l’incarico il 9 novembre nel corso dell’incidente probatorio. La prossima udienza e’ prevista per il 19 aprile. «È certo che Morosini fosse affetto da cardiomiopatia aritmogena con interessamento prevalente del ventricolo sinistro; pertanto, il decesso di Piermario Morosini – sostengono i periti – è inquadrabile come una morte improvvisa cardiaca aritmica, secondaria alla cardiomiopatia aritmogena da cui era affetto, precipitata dallo sforzo fisico intenso. In merito alla incongrua, caotica assistenza sanitaria fornita al momento della caduta a terra del Morosini, nel campo di gioco del Pescara calcio, possiamo concludere che vi sono comportamenti sanitari che, a nostro avviso, hanno rilevanza causale nel determinismo dell’exitus dell’atleta». Gli indagati per la vicenda sono il medico sociale del Livorno Manlio Porcellini, quello del Pescara Ernesto Sabatini, il medico del 118 in servizio quel giorno allo stadio, Vito Molfese, e il cardiologo Leonardo Paloscia, direttore dell’Unita’ Coronarica e Cardiologia , presente allo stadio come tifoso. Scrivono i periti Vittorio Fineschi, Francesco Della Corte e Riccardo Cappato che:«Tutti i membri della equipe medica hanno omesso di impiegare il defibrillatore semi – automatico esterno, gia’ disponibile a lato della vittima pochi secondi dopo il collasso di Morosini (dopo circa 25 secondi). Ciascuno dei medici intervenuti e’ chiamato a detenere, nel proprio patrimonio di conoscenza professionale, il valore insostituibile del defibrillatore semi-automatico nella diagnosi del ritmo sottostante e, in caso di fibrillazione ventricolare, il valore cruciale nell’influenzare le chance di sopravvivenza della vittima di collasso». I periti prendono in esame i singoli comportamenti:«e la valenza causale dell’inefficace assistenza fornita, in termini di rilevanza causale». Per ciò che riguarda il medico sociale del Pescara Ernesto Sabatini i consulenti evidenziano che «in qualità di responsabile del soccorso nel campo della squadra ospitante, era chiamato a conoscere la disponibilità della strumentazione di soccorso, la sua funzionalita’ e la modalita’ di impiego. Si intende in particolare, che la disponibilità del defibrillatore semi-automatico esterno sia stata responsabilità della squadra ospitante. La assoluta incardinata attività posta in essere da tale sanitario, comunque, dati i tempi di intervento (e’ accanto all’atleta in meno di un secondo), riveste sicura dignità causale nel concretizzarsi dell’exitus di Morosini». Relativamente al medico sociale del Livorno Manlio Porcellini «sono riconosciute differenti incongruenze comportamentali, per il ruolo di non ospitante rispetto al medico del Pescara».

Sempre secondo gli esperti, «egli avrebbe dovuto ricercare il defibrillatore semi-automatico esterno e,una volta identificatolo, saperlo impiegare immediatamente per gli scopi sopracitati, sfruttando cosi’ l’incomparabile opportunita’ di intervenire precocemente mediante defibrillazione esterna in un momento in cui la probabilita’ di pieno recupero del circolo cardiovascolare e’ massima. Tale omissione diagnostica – terapeutica, pertanto, riveste ruolo causale nel determinismo dell’exitus di Morosini». Per i consulenti del gip il medico responsabile del 118 Vito Molfese «ha rivestito il ruolo piu’ delicato ed a lui sono addebitabili i maggiori profili di censurabilità comportamentale. Infatti, pur intervenendo in un momento successivo rispetto ai primi due medici, si deve a lui riconoscere, tuttavia, il ruolo di leader che egli avrebbe dovuto assumere, procedendo immediatamente alla ricostruzione degli atti di soccorso praticati dai colleghi, immediatamente riconoscendo l’assenza di impiego del defibrillatore ed operandone l’impiego ad un tempo in cui una defibrillazione esterna si sarebbe associata ad una probabilità’ di sopravvivenza ancora piuttosto elevata (circa 60 – 70 per cento)». Per quanto riguarda il prof. Leonardo Paloscia, intervenuto volontariamente per prestare soccorso al giocatore, i periti evidenziano che «non e’ parte integrante dell’equipe di soccorso, ma anch’egli omette di richiedere, e successivamente di impiegare, il defibrillatore. A nostro avviso, nonostante tale censura comportamentale, difetta la possibilità, nel caso di tale incongrua assistenza sanitaria in emergenza, di dare consistenza causale tra il decesso di Morosini e tali comportamenti medici. La tempistica d’intervento, le modalita’ di svolgimento della prestazione fornita dal dottor Paloscia ed il suo ruolo nella vicenda, fanno concludere che solo residue chance di sopravvivenza erano ormai ipotizzabili nel Morosini al momento dell’intervento di questo medico (considerando che l’atleta giunge in ospedale con un tracciato ancora non asistolico), per cui nessun rilievo causale è da assegnare all’erroneo comportamento di tale medico seguendo un ragionamento controfattuale fondato su alti significativi coefficienti probabilistici quali,in questo ambito penalistico, richiede la dimostrazione del nesso causale».

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