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Alba Dorata Europa:”il buco dell’Inps ve lo raccontiamo noi”

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A differenza di quello che si possa pensare, la formazione politica si definisce come il “popolo dei moderati, determinati ma sempre più incavolati”. Il loro peggior nemico è Equitalia che definiscono una Gestapo. Vogliono un tetto minimo per le pensioni di 1.200 euro, una sanità pubblica per tutti, il ritorno alla lira e l’eliminazione delle accise sui carburanti.

A differenza di quello che si possa pensare, la formazione politica si definisce come il “popolo dei moderati, determinati ma sempre più incavolati”. Il loro peggior nemico è Equitalia che definiscono una Gestapo. Vogliono un tetto minimo per le pensioni di 1.200 euro, una sanità pubblica per tutti, il ritorno alla lira e l’eliminazione delle accise sui carburanti. Per Moreno Russi, segretario regionale Abruzzo, la storia del “presunto buco dell’Inps” è molto facile da raccontare e parte con il governo Monti che decise di fondere nell’Inps l’Inpdap. Si volle tale operazione per “ridurre di 100 milioni il costo di queste burocrazie” sottolinea Russi. “In fondo, Inps e Inpdap facevano e fanno lo stesso mestiere: incassano i contributi sociali da lavoratori e datori di lavoro e pagano le pensioni – dichiara ancora il segretario regionale che aggiunge – tutto questo si è rivelato, dobbiamo presumere senza malizia, come un modo di annacquare un gigantesco buco di bilancio. Se fossimo dei privati sarebbe una bancarotta, più o meno fraudolenta”. Lo Stato italiano, fino alla nascita del’Inpdap nel 1994, non pagava i contributi per i propri dipendenti pubblici, ritenendola una partita di giro. “Perché accantonare risorse per le future pensioni pubbliche, si saranno detti i furbetti della Prima repubblica? Paghiamo il dovuto, cioè apriamo la cassa, solo quando la pensione sarà maturata. Se volete si tratta di una variazione ancora peggiore rispetto allo schema Ponzi (dal grande truffatore italo americano) del metodo retributivo. Quando nel 1994 si crea l’ente previdenziale si pone dunque il problema. Come facciamo? Semplice, da oggi in poi la Pubblica amministrazione è costretta a pagare anno per anno i suoi contributi, così come tutti i datori privati lo fanno ogni mese con l’Inps, al suo fondo di riferimento: l’Inpdap, appunto. Il sistema diventa così corretto e identico a quello di un’azienda privata: il costo del personale pubblico, in questo modo, diventa fedele alla realtà e pari (anche in termini di cassa) a stipendio netto, più tasse e contributi sociali”. Per Russi restava solo un problema da risolvere:”Cosa fare con i contributi che si sarebbero dovuti versare nel passato? La genialata se la inventa il governo Prodi nel 2006 insieme al ministro del Lavoro Damiano. All’Inpdap lo Stato avrebbe dovuto dare più di 8 miliardi di euro di contributi non versati, ma maturati dai dipendenti pubblici. Una bella botta. E anche all’epoca avevamo bisogno di fare i fighetti con l’Europa. Per farla breve, lo Stato non ha trasferito gli 8 miliardi all’Inpdap, ma ha fatto come lo struzzo: ha anticipato volta per volta ciò che serviva per pagare i conti. Di modo che alla fine dell’anno i saldi con l’Europa quadrassero. I nodi vengono al pettine quando Monti decide di fondere l’Inps con l’Inpdap. Antonio Mastropasqua, che è il super boss delle pensioni private, sa fare bene i suoi conti. E appena si accorge che gli hanno mollato il pacco inizia a tremare. Un imprenditore privato che omettesse di versare i contributi per i propri dipendenti, pur assumendosi l’impegno di pagare la pensione quando maturasse, verrebbe trasferito in un secondo a Regina Coeli o a San Vittore. In più, il medesimo imprenditore privato non dovendo versare ogni anno i contributi all’Inps, potrebbe fare il fenomeno con le banche o la Borsa, dicendo di avere molta più cassa di quanto avrebbe se dovesse andare a versare ogni mese il dovuto”. Per Russi non ci sono dubbi: tutta l’operazione portata avanti è “un mega falso in bilancio da 8 miliardi“. Quindi “Mastropasqua resta un servitore dello Stato e, secondo il cuoco, non lo ammetterebbe neanche a sua nonna, ma la fusione dei due enti ha in buona parte compromesso molti degli sforzi fatti per mettere ordine nel suo carrozzone. Si è dovuto sobbarcare un’azienda fallita e non può prendersela più di tanto con il suo principale creditore: che si chiama Stato Italiano. La morale è sempre quella. Mentre i privati chiudono, falliscono, si disperano per pagare tasse e contributi sociali, lo Stato centrale se ne fotte”.

ZdO

 

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