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Presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati indagato per falso e abuso d’ufficio. Il caso Occhionero

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Eugenio Albamonte, presidente dell’Anm, è finito sotto inchiesta in seguito ad un esposto di un uomo arrestato alcuni mesi fa.

A indagare su Albamonte è la procura di Perugia dopo che Giulio Occhionero, arrestato il 9 gennaio scorso insieme a sua sorella Francesca Maria con l’accusa di cyberspionaggio e accesso abusivo a sistemi informatici.

Occhionero, secondo l’accusa, avrebbe violato quegli accessi alle mail dell’ex premier Matteo Renzi, di Mario Monti e di Mario Draghi. L’esposto è stato presentato a febbraio scorso e faceva riferimento a gravi violazioni nell’operato della polizia Postale.  

Durante l’interrogatorio di garanzia Occhionero aveva lamentato i metodi dell’arresto che avrebbero “violato pesantemente la mia privacy”. Poi aveva aggiunto:“Le perquisizioni a casa mia sono illegali. Voi avete le prove che non si è trattato di intrusioni informatiche, ma al massimo di tentate intrusioni”.

Francesca Occhionero, detenuta nel carcere di Rebibbia, scrisse una lettere per denunciare le condizioni disumane di detenzione che stava vivendo insieme alle altre detenute. Per questo motivo partì anche una petizione su Change. org rivolta al Presidente Mattarella per chiedere di porre fine alla detenzione preventiva della donna.

“Gli investigatori sono entrati per arrestare Giulio con un provvedimento che prevedeva anche il sequestro dei pc, non l’accesso agli stessi, ma la polizia insisteva nel voler accedere” ha detto in un’intervista rilasciata a Il Dubbio l’avvocato Roberto Bottacchiari. “Questa cosa – ha aggiunto – ha indisposto Giulio che si è rifiutato di fornire le credenziali di accesso anche per proteggere i dati dei suoi clienti. I computer devono essere analizzati nel rispetto di tutte le regole del contraddittorio, in base alla metodica forense che preserva dal rischio di contaminazione e cancellazione dati. Cosa analoga è accaduta con Francesca: in maniera insistente, con fortissima pressione, le chiedevano la password di accesso, lei rispondeva che non aveva la password perché lavorava con la smart card. Loro l’hanno costretta a digitare la password ma non è servito a nulla e gli investigatori hanno sostenuto che lei abbia sfilato di proposito la smart card. Il fatto di averla sfilata è stata una reazione di autodifesa rispetto a quello che stava accadendo. Non è che Francesca non ha collaborato, sono gli investigatori che sono andati contro le regole.”

 

Gli Occhionero sono accusati di essersi introdotti in oltre 18000 profili e di aver conservato in server americani i dati acquisiti illecitamente. Spiega ancora Bottacchiari:

 

“Punto primo: sul fatto che il malware appartenga a Giulio non esiste alcuna prova. Inoltre sono state fatte anche indagini patrimoniali e non sono stati trovati soldi estorti a qualcuno dei possibili soggetti spiati. Poi sfatiamo subito un altro aspetto che è stato urlato dalla stampa: il computer di Matteo Renzi non poteva essere infettato perché usava Apple mentre il software che avrebbe usato Giulio è Microsoft. Inoltre dall’analisi dei nostri periti solo 1935 ( 8,2%) username recano anche la password ma non risultano essere stati mai utilizzati; all’interno dei 1.935 indirizzi, solo 11 ( 0,5%) sono relativi ad Enti; da essi, non risultano essere mai state utilizzate le credenziali; nessun elemento risulta transitato verso Giulio Occhionero: nessuna esfiltrazione. Rispetto a quest’ultimo punto un grave errore è stato commesso dal Tribunale del Riesame che scrive di dati esfiltrati. Il pm Albamonte ci ha confermato che invece nelle contestazioni manca l’esfiltrazione.”

 

 

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