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Quasi vent’anni fa un ragazzo di appena 15 anni perse la vita investito da un camion a rimorchio. Quel ragazzo si chiamava Marco e della sua storia ci siamo occupati più volte. La famiglia D’Onofrio chiede giustizia da quel tragico giorno senza, ad oggi, ottenere giustizia.

L’autista del mezzo pesante fu assolto. Tre anni dopo, però, la Procura aprì un nuovo fascicolo dopo la denuncia ai carabinieri del padre del piccolo, che svolse le indagini da solo. Dieci anni di processi fino alla Cassazione penale per venire a sapere che i colpevoli erano due enti pubblici: Provincia e Comune di Città Sant’Angelo. Inammissibile fu dichiarato dai giudici il ricorso del Comune che, tra l’altro, rigettarono quello della Provincia condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e a rifondere le parti civili.

Marco morì a 15 anni investito da un camion: dopo 19 anni nessuna giustizia

Per approfondire ancor più la vicenda ho incontrato i genitori di Marco a cui ho fatto alcune domande.

1) Signor Paolo, sono passati 19 anni da quel giorno. Vuole raccontarci gli istanti che hanno anticipato la tragedia e quelli immediatamente successivi?

“Da 6 anni lavoravo presso l’Editoriale Eco di San Gabriele per cui partivo il lunedì mattina e tornavo a casa il fine settimana. Quel sabato 5 agosto 2000 trovai in casa solo mia moglie, Dario era al lavoro, Marco era uscito in bici con due amici e Laura in vacanza a Bologna presso gli zii. Mezz’ora, solo mezz’ora di conversazione per raccontarci la settimana trascorsa e decidere come festeggiare i 15 anni di Marco compiuti 2 giorni prima. Desideravo abbracciarlo e fargli gli auguri, attendevo l’ora di pranzo per sederci tutti a tavola e organizzare la festa…. Squilla il telefono, risponde mia moglie che rimane immobile in un lungo silenzio… la guardo e mi rendo conto che la chiamata è seria. Prendo la cornetta, ‘pronto chi è?’ ‘’Sono l’operatore xxx del 118, suo figlio ha avuto un incidente, venga qui a San Martino Bassa’’. Gelo. Intuisco il peggio. Il mondo intero crolla, si accartoccia addosso per schiacciarci, cosa faccio? Comunque sia, Marco è assistito noi no… ‘Ascolti, lo porterete al pronto soccorso, è inutile che venga li, vi aspettiamo in ospedale’. Pensavo che arrivati in ospedale e confermatoci il temuto decesso fossimo assistiti dai medici ma così non fu. Il poliziotto di turno era seduto dietro una scrivania e rimaneva muto, su un foglio era scritto solo il nome ‘’D’Onofrio Marco’’… Maura rimaneva impietrita trattenendo l’ultimo filo di speranza, nessuno apriva bocca per circa un’ora fino a quando sbottai urlando ‘ma che gente siete?’ Caddi a terra in ginocchio, in lacrime, ambedue distrutti, disperati. Ci lasciarono così, sotto gli occhi della gente che passava a pochi metri, abbandonati a noi stessi, senza assistenza psicologica, senza un bicchier d’acqua. Grazie Pescara, non scorderò mai l’umiliazione subìta!”

2) Signora Maura, che ragazzo era Marco?

“Definirlo un bravo ragazzo è troppo riduttivo. Era ubbidiente ma determinato nelle sue azioni, aperto, sensibile, intuitivo, molto curioso e le sue domande non erano affatto superficiali: scaturivano dall’aver osservato, ascoltato e riflettuto. Aveva un forte senso della giustizia: una volta rimproverò con toni accesi il fratello maggiore perché mangiò una fetta di torta che sarebbe stata mia. Affettuoso, sempre in cerca di coccole mi chiamava ‘’tammina’’. Gli piaceva sentirsi libero ma senza venir meno ai suoi impegni, molto bravo a scuola. Accettò come compagno di banco un ragazzo diversamente abile nonostante gli avesse sferrato un pugno perché istigato dai compagni di classe. Dopo l’incidente sua madre mi chiamò e mi diede tante foto che suo figlio gli aveva fatto al mare. Nel suo diario aveva scritto: ‘’Il dolore e le ferite ti tempreranno e ti aiuteranno ad affrontare nuove e difficili situazioni, vivi da protagonista la tua vita e affronta con decisione tutti gli ostacoli che si presenteranno’’.

3) Che interessi aveva Marco?

“Maura. Amava la musica e prediligeva i concerti live dei Queen. Amava disegnare soprattutto a matita e prima di realizzare i suoi ‘’capolavori’’ li visualizzava disegnandoli col dito nell’aria; in uno di questi, alla base di una cascata, c’è un cartello con scritto ‘’non cancellare ciò che è bello!’’

4) La famiglia D’Onofrio a un certo punto si è ritrovata a combattere contro lo Stato…

(Maura) “E’ assurdo. Avevo fiducia nella legge e nello Stato, invece sono stata tradita e offesa insieme agli affetti più cari. Anziché essere tutelati veniamo perseguitati ancora dopo 19 anni”.

(Paolo) “Laddove non c’è giustizia, quello Stato è ostaggio di una banda di ladri. La condotta contraria ai doveri istituzionali, in tutti gli ambiti, ha scatenato gli appetiti predatori seppure ammantati di parvenza legale. Al contrario, chi amministra la res publica, anziché applicare il D.lgs n. 212 del 15/12/2015 a tutela delle vittime di reato, mira ad annientare ogni resistenza dei sopravvissuti e di conseguenza l’integrità psico-fisica già di per sé compromessa. Neppure le belve ‘feroci’ infieriscono scientemente, a sangue freddo”.

5) Ve l’aspettavate questo trattamento?

(M) “Assolutamente no, soprattutto come mamma. Solo chi ha patito una simile esperienza devastante può capirmi”.

(P) “Fino a questo punto, no. Non l’accetterò mai!!! Due processi svolti al pari di una caccia alle streghe si sono rivelati una caccia all’uomo: la mia persona, colpevole di aver preteso Giustizia per suo figlio deceduto per colpa di amministratori pubblici”.

6) Cosa vi ha fatto più male?

(M) “Scoprire di non esistere in certi ambiti, non riconosciuti come esseri umani, usati per vile denaro. Come si può arrivare a tanto?”

(P) “Il cinismo, lo sciacallaggio perpetrato dai propri simili che hanno usato gli strumenti di potere per proprio tornaconto, a tal punto da chiedere tangenti per ultimare quel luogo del sinistro nonostante fossero già indagati per omicidio colposo. Amministratori di Enti pubblici che hanno sostenuto il falso prestandosi agli interessi economici delle allegre compagnie assicurative SpA”.

7) In dettaglio, quali sono i fatti che hanno portato a questa situazione?

(M) “Siamo stati sbattuti in un sistema che ti stritola, ti tiene in agonia per continuare ad usarti”.

(P) “L’aver lasciato il lavoro per indagare, denunciare e far condannare chi ha ammazzato nostro figlio ha indispettito i padreterni indigeni. Non ho mai chinato il capo, non ho seguito i ripetuti ‘consigli’: ‘’lo sai che le cause possono durare una vita’’, ‘’so io come trattare questo tipo di persone’’, ’’ti schiacceranno come una pizza’’”

8) Posso chiedervi com’erano le giornate con Marco?

(M) “Eravamo una famiglia normale, di 5 persone, ognuno seguiva i propri impegni lavorativi, scolastici e di svago. Quando eravamo da soli si confidava e mi chiedeva consigli.”

(P) “In genere ero molto preso dal lavoro ma non mancavano occasioni per stare insieme, tirare quattro calci al pallone, scherzare, trascorrere giornate in montagna o andare a prenderci un gelato… Era molto affettuoso”

9) Paolo, nei nostro colloqui ci siamo detti molte cose. Ecco, vorrei chiederti: c’è una copertura a livello locale sulla vicenda?

“Ovviamente sì. In questi 19 anni ho indagato, acquisito elementi, incontrato ‘eccellenze’, subìto minacce… insomma, mi sono calato nel tessuto sociale, nelle sue pieghe ed ho toccato con mano quella ‘’cosa’’ indefinita che pervade e avvelena la società civile. Usando un eufemismo la definirei ‘’la banda della figlia di iorio’'”

10) La famiglia D’Onofrio riuscirà un giorno ad ottenere piena giustizia?

(M)  “Impossibile, nessuno potrà mai ridarci nostro figlio. Confidiamo nella Giustizia Divina dal momento che quella degli uomini non è stata capace di tutelarci. Nessuno ci ha mai chiesto perdono, nessuno ha espiato le proprie colpe che sono state dichiarate ‘prescritte’, nessuno ha riconosciuto il bisogno di riparare per il gravissimo danno arrecatoci. Così facendo ci hanno inflitto maggior dolore, ci hanno condannati all’ergastolo del dolore.”

(P) “Non ho fiducia in questa magistratura né in questa politica. Sono incapaci di riscattare la dignità e la giustizia ammettendo i propri errori e orrori. Il ‘’caso csm’’ è solo la punta dell’iceberg.”

di Antonio Del Furbo

Di admin

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