70enne con febbre alta costretto a tre ore di viaggio per un tampone
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Ben ottantasei chilometri e un’ora e 12 minuti di strada in macchina percorsi. La vicenda accaduta a un 71enne con la febbre.

Una traversata sostenuta per poter fare un tampone.

Il fatto è accaduto in Sardegna, zona gialla, quindi potenzialmente meno a rischio delle altre Regioni e dove il coronavirus dovrebbe essere sotto controllo.

L. B. e a sua moglie, 71 e 69 anni, residenti a Bosa come riporta Repubblica, sono stati costretti a recarsi a Oristano, all’ospedale San Martino, per eseguire il tampone, nonostante la febbre e gli altri sintomi del virus. A Bosa i tamponi non vengono più fatti. E se non riesci a presentarti la risposta è una: perdi la possibilità di fare il tampone. E poi si vedrà.

“Non riesco a guidare, ho la febbre a 39 da giorni”.

La coppia di anziani viene informata il 29 ottobre di aver avuto contatti con una persona risultata positiva al coronavirus. Avvisato il medico di base e iniziata la quarantena, i due hanno aspettato di essere convocati per fare il tampone. Tutti e due hanno accusato i primi sintomi dopo qualche giorno: dolori alle ossa, ai reni, mal di gola e febbre.

“Ci hanno consigliato di andare a Olbia, in una clinica privata. Il tampone costa 40 euro” racconta L.B. “Olbia è dall’altra parte della Sardegna, a malapena mi reggo in piedi, come faccio a guidare per arrivare fin lì? Allora abbiamo deciso di aspettare, convinti che avremmo fatto il tampone a Bosa”.

“Fatevi accompagnare dai figli”

L’Ufficio Igiene convoca la coppia per il 10 ottobre, alle otto del mattino, all’ospedale San Martino di Oristano. Impossibilitati dal raggiungere l’ospedale, la figlia si sente rispondere al telefono: “Non puoi accompagnarli tu?”. La figlia sarebbe dovuta entrare in uno spazio ridotto come un’automobile con due persone probabilmente positive. Nonostante le rimostranze dunque, niente tamponi a casa. “Se non riuscite a venire, avvisate” è la conclusione della telefonata.

Il viaggio

La coppia non ha avuto alternative: si è seduta in macchina, con guanti e due mascherine indossate una sopra l’altra, e ad accompagnarla è stata un’altra figlia. “Senza considerare l’attesa, prima in piedi e poi, dal momento che faticavo a stare in piedi, dentro l’automobile. Due ore e 20 minuti e con soli due infermieri a occuparsi della processione di possibili contagiati” conclude L. B.

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