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La maxi-inchiesta sfociata ieri con l’arresto di ben quindici persone, in cui sono finiti dentro giudici e avvocati, è partita da lontano. Molto lontano.

Ad occuparsi del caso un pool romano di quattro magistrati: Stefano Fava, Giuseppe Cascini e Luca Tescaroli, coordinati dal procuratore aggiunto Paolo Ielo. I giudici, come racconta l’Espresso stanno indagando su un presunto sistema di compravendita delle sentenze della giustizia amministrativa.

L’attenzione dei magistrati è stata concentrata sulle attività di faccendieri, politici conniventi, giudici e professionisti che, dentro ai tribunali e al Consiglio di Stato, sarebbero riusciti a fare il bello e il cattivo tempo. “Aggiustando cause importantissime, pilotando appalti pubblici milionari, stravolgendo decisioni economiche di enorme rilievo per la pubblica amministrazione e per aziende che danno lavoro a migliaia di persone”.

Ipotesi di reato che, se confermate, darebbero un colpo molto duro al cuore della giustizia amministrativa al sistema giuridico nazionale. Da un lato i tribunali amministrativi vere commissioni giudicatrici delle gare d’appalto, dall’altra il Consiglio di Stato da sempre una camera di compensazione dei poteri economici e politici del Paese.

Uno degli avvocati finiti nel mirino dei magistrati romani si chiama Piero Amara. Un legale di Siracusa molto conosciuto in Sicilia e a Roma, e accusato di frode fiscale e false fatturazioni insieme a Fabrizio Centofanti (l’ex capo delle relazioni istituzionali di Francesco Bellavista Caltagirone spiega all’Espresso di non voler fare commenti, sottolineando che «la mia azienda ha una struttura industriale reale e solida, e non ha certo bisogno di truccare i conti») e una ventina di altri indagati. Durante le perquisizioni della società Dagi srl, nella stanza in uso ad Amara sono stati trovati anche documenti finanziari e investimenti di un pezzo da novanta di Palazzo Spada. 

Come riferisce l’Espresso “le carte trovate nello studio di Amara, indagato anche per associazione a delinquere, raccontano alcune operazioni finanziarie di Virgilio. Che all’Espresso risulta non solo essere stato titolare di un conto in Svizzera aperto agli inizi degli anni Novanta al Credito Svizzero, ma anche di aver investito oltre 750 mila euro cash in una società maltese, la Investment Eleven Ltd, i cui soci sono schermati da un’altra fiduciaria. Un contratto di finanziamento firmato il 4 novembre 2014 garantirebbe al consigliere di Stato un diritto di opzione per il controllo di quote della Teletouch. Una società di cui è socio lo stesso Amara, due cittadini svizzeri e l’imprenditore Andrea Bacci. Quest’ultimo è un caro amico di Matteo Renzi e in passato socio d’affari del padre Tiziano. Qualche mese fa è stato in predicato – secondo alcuni quotidiani – di diventare amministratore delegato di Telecom Sparkle. Poi, Bacci è finito nuovamente sui giornali lo scorso fine gennaio perché qualcuno ha sparato alcuni colpi di pistola prima contro la sua auto parcheggiata, poi contro l’insegna di una delle sue ditte. Un messaggio che ancora non ha un mittente: gli inquirenti fiorentini indagano per scoprirlo.”

Tra i documenti della camera di commercio maltese, dove è conservato un verbale del 13 marzo 2017 della Investment Eleven, si legge che per finanziare l’operazione Teletouch e altri business legati al commercio del petrolio e del gas con Dubai “la società ha sviluppato un accordo con il signor Riccardo Virgilio”.

Amara, sentito dall’Espresso, è categorico. “L’operazione è stata tutta tracciata. Il presidente Virgilio ha fatto un bonifico con nome e cognome. Ha messo anche la causale: “finanziamento socio”” ragiona l’avvocato. Virgilio risulta anche sottoscrittore di una polizza sulla vita con la Credit Suisse Life (Bermuda) ltd, la società del colosso svizzero che è stata indagata dalla procura di Milano con l’accusa di aver aiutato migliaia di presunti evasori fiscali attraverso polizze vita fasulle. 

Amara è il legale del presidente Virgilio anche in altre operazioni finanziarie, ma soprattutto è un professionista esperto che, al Consiglio di Stato, si muove come un pesce nell’acqua.

Tra i tanti clienti importanti, Amara è anche il legale di un imprenditore poco conosciuto dall’opinione pubblica, ma di recente assurto all’onore delle cronache per il caso Consip. Ezio Bigotti, fondatore del Gruppo Sti a soli 29 anni, console onorario del Kazakistan, come raccontato dall’Espresso un mese fa è infatti – intercettazioni alla mano – il vero nemico giurato di Romeo: che ripeteva ai suoi fedelissimi, prima di essere arrestato per corruzione, come proprio Bigotti sarebbe diventato in pochi anni il dominus di un sistema di potere in grado di fare il bello e il cattivo tempo nella Consip. Più forte rispetto a quello messo in piedi dallo stesso Romeo.

Un uomo, Bigotti, vicinissimo a deputati importanti di Ala come Denis Verdini, Ignazio Abbrignani e Saverio Romano, e capace, secondo un esposto mandato sempre da Romeo alla Consip e all’Anac di Raffaele Cantone, di organizzare «cartelli» per vincere appalti insieme alle cooperative rosse e altri partner importanti, come i francesi di Engie Servizi (l’ex Cofely, i finanziari hanno fatto perquisizioni anche nella loro sede), e di riuscire a battagliare come pochi sia nei Tar che al Consiglio di Stato.”

Bigotti, che gestisce servizi di vario tipo nei palazzi della pubblica amministrazione in una decina di regioni italiane, è finito nel mirino della procura di Roma.  

Bigotti, la cui holding è controllata dalla lussemburghese lady Mary II, è considerato da chi lo conosce bene il miglior “architetto” di gare pubbliche in circolazione, capace di allearsi con imprese molto più grandi delle sue e di fare man bassa, grazie ad abilità fuori dal comune, di gare milionarie. 

“Il giorno dopo, davanti a un’amatriciana, secondo la testimonianza giurata di Marroni, Bigotti si lamentò «dell’atteggiamento aggressivo» di Consip nei confronti delle sue società. Qualche giorno fa, invece, Bigotti – in un esposto mandato alla procura di Roma per chiarire il contenuto della conversazione al Moro – ha spiegato che volle quel colloquio solo per parlare «di taluni gravi vicende» che riguardavano Alberto Bianchi. Un avvocato consulente della Consip famoso per essere presidente della Fondazione Open, la cassaforte del neo segretario del Pd Matteo Renzi, e uno dei capi del Giglio Magico. «Desideravo che l’ad Maroni fosse informato della incredibile situazione rappresentata dal ruolo svolto dall’avvocato Bianchi. Questi era, in quanto legale Consip, in un caso controinteressato avverso la impugnazione di una gara Consip aggiudicata a Siram; ciò non di meno e al contempo Bianchi era, in numerosissime cause amministrative anche presso il Consiglio di Stato, l’avvocato che assisteva e patrocinava proprio la Siram. Marroni reagì molto male, negando la circostanza. Aggiunse pure che qualora fosse stata vera, sarebbe stato gravissimo».”

Anche Amara, seppur meno blasonato, è molto conosciuto al Consiglio di Stato. In passato è stato chiacchierato per suoi rapporti considerati troppo stretti con giudici amministrativi siciliani e pm della città aretusea, come Maurizio Musco e Giancarlo Longo, sul quale – si legge sulla Gazzetta del Mezzogiorno – sta indagando la procura di Messina, a causa di un presunto comitato d’affari denunciato da alcuni colleghi di Longo. 

Il via all’inchiesta sulla giustizia amministrativa l’hanno dato alcuni esposti arrivati ai pm roman. A luglio 2016 il consigliere di Stato Nicola Russo, mentre era membro di una Commissione tributaria, è stato indagato per divulgazione del segreto d’ufficio e/o corruzione in atti giudiziari.

In un altro filone dell’indagine i pm stanno cercando di capire se ci sia stata una fabbrica di sentenze messa in piedi da un altro gruppo di potere. Nella rete degli investigatori sono finiti il deputato Antonio Marotta, il faccendiere Raffaele Pizza e il funzionario di Palazzo Chigi Renato Mazzocchi. 

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