Covid, la Svezia ha lasciato "Anziani morire e ha usato bimbi per diffondere il contagio"
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Nel 2020, mentre gran parte dell’Europa stava combattendo il diffondersi del Covid 19, con migliaia di contagi e centinaia di morti, la Svezia era senza mascherine. Nessuna restrizione legale per evitare il contagio, nemmeno una multa.

Covid. In seguito il ministro della Salute e degli affari Sociali, durante un’indagine parlamentare, avrebbe ammesso che in realtà “la Svezia non aveva nessuna strategia”.

Dal primo studio scientifico sistematico sulla strategia della Svezia nella gestione della pandemia realizzato a due anni dai primi contagi, pubblicato su Humanities & Social Sciences Communications, tramite Nature.com, emerge uno scenario inquietante.

L’approccio rilassato

Il paese scandinavo è stato sotto i riflettori internazionali dall’inizio della comparsa del Covid 19, pesantemente criticato per un approccio secondo molti troppo rilassato. 
Mentre gran parte dell’Europa ha imposto severe restrizioni alla vita pubblica per arginare la diffusione del virus, la Svezia si è distinta per non essersi mai fermata del tutto. E per non avere mai imposto rigide politiche di distanziamento sociale. 

“Invece, ha lanciato misure volontarie basate sulla fiducia e sul folkvett, traducibile con buon senso – ha spiegato a Repubblica Marta Paterlini, Neurobiologa presso il Karolinska Institute a Stoccolma e giornalista scientifica -. In pratica ha consigliato alle persone sopra i 70 anni e ai gruppi a rischio di evitare i contatti sociali; ha raccomandato a chi poteva di lavorare da casa, di lavarsi le mani regolarmente, di attuare un distanziamento fisico di due metri e di evitare viaggi non indispensabili. I confini e le scuole per i minori di 16 anni sono rimasti aperti, così come i negozi e molte aziende, compresi ristoranti e bar”.

Sotto accusa l’Agenzia di Sanità Pubblica 

La pandemia è stata gestita dalla Agenzia di Sanità Pubblica (Folkhälsomyndigheten). Si tratta di un organismo indipendente, a cui si è adeguato anche il governo. E che a sua volta si è limitato a invitare i cittadini a seguire le raccomandazioni della medesima.

Ad aprile dello scorso anno, l’Agenzia aveva previsto che il 40% della popolazione di Stoccolma avrebbe avuto il Covid-19 e acquisito anticorpi protettivi entro maggio. Secondo gli studi sugli anticorpi, condotti dalla stessa Agenzia e pubblicati a settembre, per i campioni raccolti fino alla fine di giugno, la cifra effettiva per i test casuali degli anticorpi era solo dell’11,4% per Stoccolma, del 6,3% per Göteborg, le due maggiori città, e del 7,1% in media in tutta Svezia, rivelando come l’immunità di gregge fosse ancora un miraggio.

“La lotta svedese un fallimento”

Proprio in questo contesto si cala lo studio scientifico sistematico sulla strategia nazionale, realizzato a due anni dai primi contagi, che non indugia a definire la lotta svedese alla diffusione del Covid-19 un vero e proprio “fallimento”. La prova la fornisce un primo dato eclatante: “Un tasso di mortalità che nel 2020 è stato di 10 volte superiore rispetto alla vicina Norvegia”. Lo studio ha visto coinvolti scienziati di Università del Belgio, della Svezia e della Norvegia, riuniti in un gruppo multidisciplinare che comprendeva esperti in epidemiologia, medicina, studi religiosi, storia, scienze politiche e diritti umani.

Le tesi del rapporto

Decisioni sanitarie definite “discutibili”, mancanza di trasparenza delle autorità svedesi e persino “segretezza, insabbiamento e manipolazione dei dati”. 

Queste sono alcune delle tesi avanzate dai ricercatori dello studio, riferite appunto alle strategie anti-Covid messe in atto nel Paese che, durante il periodo pandemico, aveva scelto di evitare chiusure diffuse per limitare i danni economici.. 

Lasciar fare

La strada del “laissez-faire ha avuto un grande costo umano per la società svedese”, sottolineano gli esperti, evidenziando come differenti lavori di ricerca abbiano dimostrato che “i costi umani sarebbero stati significativamente inferiori in Svezia se fossero state attuate misure più severe, senza impatti più dannosi sull’economia”.

Le osservazioni sono arrivate dopo l’attenta valutazione di “articoli scientifici rilevanti, sottoposti a revisione tra pari, pubblicati sulla gestione della pandemia in Svezia e negli altri Paesi nordici”. E anche attraverso l’analisi di “tutte le conversazioni via e-mail, gli ordini del giorno delle riunioni, gli appunti delle riunioni e i comunicati stampa delle parti interessate coinvolte nel processo decisionale a livello nazionale”.

Fusione criticata

Una delle cause della “disfatta” in campo pandemico, sottolinea ancora lo studio, è il fatto che “la massima autorità sanitaria svedese, l’Agenzia di sanità pubblica locale” appunto, sia stata “fusa con l’Istituto per il controllo delle malattie infettive”. Come conseguenza, la prima decisione del nuovo capo, Johan Carlson, è stata quella di licenziare e trasferire i sei professori dell’autorità al Karolinska Institutet. Svuotando di fatto l’Agenzia delle necessarie competenze per affrontare un’emergenza sanitaria della gravità di quella scoppiata con il Covid.

Agli anziani morfina invece dell’ossigeno

Un atto di accusa che non risparmia nessuno. Il rapporto dice molto altro: “La legislazione obbligatoria è stata utilizzata raramente; le raccomandazioni basate sulla responsabilità personale e senza alcuna sanzione erano la norma”. Sino all’affermazione più forte: “A molte persone anziane è stata somministrata morfina invece dell’ossigeno, nonostante le scorte disponibili, ponendo fine alla loro vita”.

Lo studio prosegue evidenziando i punti negativi criciali della strategia anti-Covid svedese: “La decisione di fornire cure palliative a molti adulti anziani è molto discutibile; pochissimi anziani sono stati ricoverati per il Covid 19. Un trattamento appropriato (potenzialmente salvavita) è stato negato senza esame medico, e senza informare il paziente o la sua famiglia o chiedere il permesso. Molti funzionari hanno continuato a negare ogni responsabilità. E c’è stata solo una limitata protesta pubblica in Svezia quando questo è venuto fuori. La narrazione comune è che quelli nelle case di cura sono destinati a morire presto comunque”.

Bambini usati per diffondere l’infezione

Ma un’altra grave inadempienza emerge dall’indagine. “L’Agenzia della Salute Pubblica ha negato o declassato il fatto che i bambini potessero essere infettivi, sviluppare malattie gravi, o guidare la diffusione dell’infezione nella popolazione – evidenzia il rapporto -. Mentre le loro e-mail interne indicano il loro obiettivo di usare i bambini per diffondere l’infezione nella società”. Dallo studio, inoltre, risulta che “durante la primavera del 2020, molti individui non sono stati ricoverati negli ospedali e non hanno nemmeno ricevuto un esame sanitario poiché non erano considerati a rischio. Con il risultato che gli individui sono morti a casa nonostante avessero cercato aiuto”

“Segretezza e insabbiamento”

A tutte queste osservazioni se ne aggiunge un’altra. “C’erano istruzioni di triage disponibili nella regione di Stoccolma, che mostravano che gli individui con comorbidità, indice di massa corporea superiore a 40 kg/m2, età avanzata (80+) non dovevano essere ammessi in unità di Terapia intensiva. Semplicemente perché era improbabile che si riprendessero”.

Infine, oltre alle decisioni sanitarie discutibili, lo studio mette in evidenza la mancanza di trasparenza delle autorità svedesi. Parla addirittura di “segretezza, insabbiamento e manipolazione dei dati”. E fa un esempio: “Anche se molte delle persone coinvolte hanno dichiarato pubblicamente che le maschere facciali non erano necessarie, o addirittura pericolose o controproducenti, hanno poi affermato di essere sempre state a favore del loro uso”.

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