Giuseppe Conte, un premier che abusa dei Decreti e in conflitto con la Costituzione
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Se devono esserci restrizioni delle libertà personali queste devono essere previste dalla legge. E il Dpcm, abusato da Giuseppe Conte, non è lo strumento costituzionalmente previsto. A pronunciarsi in tal senso è stato il Tribunale amministrativo regionale della Campania che ha annullato un provvedimento amministrativo irrogato contro in cittadino italiano da parte delle forze dell’ordine.

L’intensificarsi della situazione emergenziale che vive il nostro paese ha posto e pone tutt’ora, un’attenta analisi giuridica alla decretazione di urgenza che il Governo italiano sta attuando in questi giorni di criticità.

Decretazione di urgenza che incide su diritti fondamentali della Costituzione che, per l’ennesima volta, viene stravolta nei suoi principi fondamentali.

L’emergenza

La pandemia di Covid19 nel nostro Paese assume ogni giorno livelli allarmanti. Un profilo preoccupante, oltre a quello sanitario ovviamente, è quello giuridico-costituzionale. Per mettere un freno al diffondersi del virus, il Ministero della Salute ha cominciato a varare diversi D.M. fino alla deliberazione del C.d.M. del 31 gennaio che dichiarava lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale.

L’art. 24 del D.lgs. 1/18 sulla Protezione civile autorizza il Governo all’utilizzo di tale strumento in caso di emergenze nazionali.

Il 31 gennaio vengono emanati il Decreto Legge n. 6/2020, poi convertito nella Legge 13/20, e diversi altri D.P.C.M. del 1, 8 10 e 12 marzo, decreti di attuazione della legge 13/20. Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri emanati in gran numero ed in breve tempo. Il Decreto del 10 marzo, quindi, estendeva a tutto il territorio nazionale le limitazioni previste da quello dell’8 marzo 2020.

I limiti alle libertà costituzionali

Le limitazioni e le restrizioni previste dai decreti incidono su diritti fondamentali costituzionalmente garantiti. In particolare gli artt. della Costituzione in contrasto con i provvedimenti sono il 16 ed il 17.

Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza”.

“I cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi. Per le riunioni, anche in luogo aperto al pubblico, non è richiesto preavviso. Delle riunioni in luogo pubblico deve essere dato preavviso alle autorità, che possono vietarle soltanto per comprovati motivi di sicurezza o di incolumità pubblica”

In casi eccezionali di necessità ed urgenza, come prevede la legge, l’autorità di pubblica sicurezza può adottare provvedimenti provvisori. Atti che devono essere comunicati entro quarantotto ore all’autorità giudiziaria.

Il Decreto Presidente del Consiglio 

“Il Decreto del presidente del consiglio è un atto amministrativo che non ha forza di legge e che, come i decreti ministeriali, ha il carattere di fonte normativa secondaria e serve per date attuazione a norme o varare regolamenti” spiega l’avvocato Alessandro Cassiani su Fiscoetasse.Quindi – aggiunge – il d.p.c.m. non costituisce una fonte del diritto autonoma, bensì la veste formale spesso attribuita ad una fonte secondaria, il regolamento appunto, qualora essa venga emanata da un Ministro nell’ambito della competenza del suo dicastero o dal Presidente del Consiglio stesso.” Quindi, tali decreti non possono derogare, quanto al contenuto, né alla Costituzione, né alle leggi ordinarie sovraordinate.   

Seppur i regolamenti governativi e quelli ministeriali prevedono passaggi diversi, il nostro ordinamento giuridico prevede delle misure restrittive della libertà personale per motivi di salute.

Esempi del passato sono il vaiolo e l’AIDS. Il punto è che tali restrizioni erano attuate soltanto sui soggetti colpiti da tali malattie e non sulla collettività in maniera così indiscriminata. 

Limitazioni e giurisprudenza

Queste limitazioni cosi stringenti hanno destato perplessità nella dottrina costituzionalistica. Preoccupa che si è incisa gravemente la libertà delle persone con un atto amministrativo. Da un punto di vista strettamente giuridico, questo strumento rappresenta un abuso indiscriminato contrario allo stato democratico in cui dovremmo vivere” aggiunge ancora Cassiani. Il d.p.c.m. è un decreto impugnabile dinanzi ai Tribunali Amministrativi Regionali essendo un atto amministrativo e non fonte del diritto. Dunque, un esercizio commerciale che ha avuto la sospensione della licenza perché rimasto aperto, ben potrebbe impugnare tale atto amministrativo dinanzi al TAR sollevando la questione di legittimità costituzionale.” E ancora. “Un cittadino che si è visto irrogare una sanzione amministrativa o penale, che preveda anche l’arresto, potrebbe sollevare questione di legittimità costituzionale su uno strumento che, a parere di chi scrive, è del tutto costituzionalmente errato.”

“La dottrina costituzionalistica ritiene che non sia pensabile che un siffatto strumento, quale un d.p.c.m. possa limitare, restringere, annullare (in alcuni casi) diritti costituzionalmente garantiti quali, a titolo esemplificativo e non esaustivo, quelli di circolazione e riunione che, tra l’altro, sono estrinsecazione dell’art. 13 quale diritto fondamentale.”

La nostra Costituzione prevede limiti all’esercizio di diritti costituzionalmente garantiti e, in situazioni emergenziali importanti, prevede che tali limiti debbano essere previsti da legge ordinaria. Lo strumento del Decreto Legge o del Decreto Legislativo dovevano essere utilizzati in luogo del d.p.c.m. e che, tra l’altro, costituiscono fonte normativa. Ed è proprio il Governo che deve valutare lo stato di necessità e di urgenza ed è, quindi, lui che adotta tali decreti “sotto la propria responsabilità”. Decreti che devono essere presentati alle Camere lo stesso giorno per la conversione in legge.

L’art. 77 Cost.: “Il Governo non può, senza delegazione delle Camere, emanare decreti che abbiano valore di legge ordinaria.”

A contestare questo iter governativo è stato anche un giudice Amministrativo campano. Il giudice ha annullato un provvedimento amministrativo irrogato contro in cittadino italiano da parte delle forze dell’ordine. Il caso è stato quello di un cittadino che aveva deciso, nonostante la quarantena impostagli, di andare a lavorare e di andare a prendersi le sigarette. Il Tar Campano gli ha dato ragione con annullamento del provvedimento amministrativo con cui gli era stato ordinato di rimanere nella propria abitazione.

L’atto che costringeva tale cittadino viene in sentenza nominato come “atto di diffida e quarantena” che proibisce di uscire di casa per quattordici giorni. Il giorno dopo avere ricevuto la diffida, il soggetto coinvolto ha invece presentato ricorso al Tar Campania che in 48 ore, ha emanato la sentenza che “accoglie l’istanza e per l’effetto sospende l’atto di diffida e la messa in quarantena”.

La motivazione

“Riscontrata allo stato degli atti la verosimiglianza di quanto dedotto in esito alla essenzialità del percorso seguito dalla propria abitazione per l’approvvigionamento presso il punto di distribuzione automatico di tabacchi”. “Ritenuto che l’estrema gravità e urgenza vada apprezzata anche nella adeguata considerazione del fine giustificante e misure. Certo, il ricorso viene accolto con esclusivo riferimento all’atto di diffida e messa in quarantena in relazione ai detti impegni professionali, nei limiti di quanto ad essi necessariamente connesso e nel rispetto di tutte le altre misure, condizioni e precauzioni note al ricorrente”.

Di admin

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