Il business delle armi nucleari: 5 miliardi di euro messi a disposizione da banche e fondi pensione
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Sono tante le banche che finanziano gli armamenti. E tante sono anche le Fondazioni che destinano una gran quantità di risorse all’industria bellica. Il trend italiano dell’export è pressoché stabile con un valore che già nel 2018 ha superato i 10 miliardi di euro. Metà delle esportazioni ha visto come destinatari Paesi al di fuori della Nato, in particolare alcune nazioni del Medio Oriente e dell’Africa. Il business delle armi nucleari pare non conoscere crisi.

Tra le banche che finanziano gli armamenti, molte operano in Italia: Unicredit, Intesa, Deutsche Bank, Bnp Paribas. Il dato riferisce che quasi 5 miliardi di euro sono transitati nel 2017 sui loro conti correnti legate al commercio di armi e armamenti. In alcuni casi sono le stesse banche ad aver finanziato direttamente la produzione e la vendita di armi. 

Il business delle armi

In una relazione del Parlamento del 2017 si legge che in un solo anno il valore delle transazioni bancarie legate all’export di armamenti è passato dai 4 miliardi del 2015 ai 7,2 miliardi del 2016 (+80%; +179% se si considera il 2014).

“Unicredit occupa il primo posto nell’elenco delle banche che più appoggiano l’industria bellica” spiegano dalla Fondazione Nigrizia “con una crescita del 356% rispetto al 2015”. Storica è stata la performance della Banca Valsabbina: “In un anno le proprie transazioni armate sono cresciute del 763,8% passando dai 42,7 milioni di euro del 2015 ai 369 circa del 2016”.

Le banche

Al secondo posto si posiziona il gruppo Deutsche Bank, con oltre un miliardo di euro fatti transitare sui propri conti. Al terzo posto la banca britannica Barclays, con oltre 771 milioni di euro e con una crescita del 113,8% rispetto al 2015. Tre gruppi che da soli rappresentano il 57% dell’ammontare complessivo delle esportazioni definitive. Le banche Popolare di Sondrio, Banco Popolare, Banca popolare dell’Emilia Romagna e Banca popolare dell’Etruria sono tra le prime 14. Per la prima volta in classifica hanno fatto capolino due istituti finanziari giapponesi: The Bank of Tokyo-Mitsubishi Ufj Ltd e la Sumitomo Mitsui Banking Corporation. Lo Stato, indirettamente, veste i panni del giocatore con la Sace Fct, società di factoring di Sace, la S.p.A. del gruppo italiano Cassa Depositi e Prestiti.

Il periodo del 2012-2018

Nel periodo tra gennaio 2012 e 2018 sono state 11 le banche italiane che hanno concesso finanziamenti per 4 miliardi e 248 milioni di euro a 26 compagnie internazionali coinvolte in diverse fasi della produzione, manutenzione e modernizzazione di armi nucleari. 

A riferirlo è stato il rapporto annuale Don’t Bank on the Bomb, condotto da Pax in collaborazione con Profundo, rispettivamente una Ong che si batte contro le risoluzioni armate dei conflitti e un istituto di ricerca economico olandese. Tra i gruppi bancari pubblici e privati italiani compaiono il Banco di Monte dei Paschi di Siena, Banca Popolare dell’Emilia Romagna, Gruppo Carige, Gruppo BPM, Banco di Sardegna, Banco Popolare di Sondrio, UBI Banca, Banco Popolare e Anima. Ma soprattutto, come riportato, Intesa San Paolo e Unicredit.

I risparmi investiti in una delle banche menzionate dal rapporto potrebbero venire utilizzati per finanziare un’azienda coinvolta nel business delle armi di distruzione di massa.

Soldi per il nucleare

A Intesa San Paolo sono stati imputati finanziamenti per un totale di 1 miliardo e 271 milioni di euro a compagnie come la Honeywell International, attiva nella produzione di trizio per ordigni atomici e che dirige il National Security Campus, dove viene prodotto l’85 per cento dei componenti non nucleari per le testate atomiche statunitensi. C’è, poi, la Northrup Grumman, compagnia statunitense coinvolta nella produzione e manutenzione del Minuteman III, un missile balistico intercontinentale con la capacità di far viaggiare testate nucleari a una distanza di quasi 10mila chilometri.

Unicredit avrebbe finanziato con 1 miliardo e 476 milioni di euro progetti di aziende produttrici di armi atomiche fra le quali figurano nuovamente la Honeywell International e Northrop Grumman, oltre al gruppo Airbus e il colosso statunitense Lockheed Martin. Responsabile quest’ultimo della costruzione dei missili nucleari Trident II e Minuteman III. Lockheed Martine fa parte della joint venture AWE-ML, che dirige l’Atomic Weapons Establishment britannico, l’organismo che progetta e produce le testate nucleari oltremanica.

Finmeccanica

A tenere legate le 11 banche è la Finmeccanica, l’azienda italiana leader nel settore della difesa, di cui il ministero Italiano dell’Economia e delle Finanze è detentore al 30,2 per cento. Finmeccanica sarebbe legata, già dal 2013, alla produzione di armi nucleari. Produzione di testate nucleari destinate a far parte dell’arsenale francese attraverso la joint-venture MBDA.

Quasi 5 miliardi di finanziamenti

Secondo Don’t Bank on the Bomb, da gennaio 2012 al 2018 almeno 382 fra istituti bancari, fondi di pensione o di investimento hanno messo a disposizione quasi 4 miliardi e 600 milioni di euro in finanziamenti destinati ad aziende produttrici di armi nucleari.

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