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Mi chiamo Paolo Adinolfi, e sono un’ombra. Sono scomparso il 2 luglio del 1994. Sono scomparso a Roma e non mi hanno mai più ritrovato. Ne’ il mio corpo, né la mia morte. Mi chiamo Paolo Adinolfi ed ero un giudice al Tribunale di Roma, dapprima alla sezione fallimentare poi alla seconda sezione civile“. 

È il racconto amaro ma reale che Giacomo Carbone ha fatto nel suo spettacolo teatrale ‘Toghe Rosso Sangue’ nel presentare un uomo che da oltre 20 anni non si sa che fine abbia fatto. “Il giorno della mia scomparsa sono uscito da casa di buon mattino, alle 9 ero già nella biblioteca del Tribunale di Viale Giulio Cesare. La conoscete quella biblioteca? Beh, se non la conoscete non avete perso nulla. È all’ingresso, dietro il bar, una stanza rettangolare, un bel po’ triste, ormai ci trovi soltanto qualche avvocato della vecchia guardia, quelli che son abituati ancora a leggere i libri, e qualche giovane che non si può permettere uno studio fornito. Gli altri non ci vengono più”. 

E in quella biblioteca finisce la storia e, forse, la vita di un un giudice, uno di quelli veri però. Uno di quei giudici della Repubblica Italiana. La storia di Adinolfi inizia con Agostino Pianta, un altro giudice, uno morto per caso. Da decenni la famiglia cerca verità ma, come sempre accade in casi simili, c’è chi si scontra con i muri di gomma, i depistaggi e le mille oscure vicende della sezione fallimentare del tribunale di Roma. 

Chi sa, ed ha mantenuto il silenzio fino ad oggi, trovi la forza di raccontarci a verità: noi continuiamo ad aspettare, e non smetteremo mai di cercarlo” hanno più volte gridato al mondo Nicoletta, Giovanna e Lorenzo rispettivamente moglie e figli del giudice.

In quale pilone di cemento o in quale campagna è stato occultato il cadavere di Paolo Adinolfi? E perché?

È sparito nel nulla il 2 luglio del 1994 senza lasciare una traccia. Dopo aver detto alla moglie che sarebbe rientrato per ora di pranzo, il giudice è uscito alle 9 per recarsi in biblioteca. Marcello Mosca, il bibliotecario, ha confermato più volte che Adinolfi si è incontrato con un uomo di circa 30/35 anni, non molto alto e ben vestito. Ma di lui non se n’è mai saputo nulla. Appena dopo il magistrato avrebbe raggiunto la banca interna del tribunale per spostare il proprio conto corrente all’agenzia della Corte d’Appello di via Varisco, dove lui stesso era stato da poco trasferito. Alle 11 avrebbe raggiunto lo sportello delle Poste del Villaggio Olimpico per inoltrare un vaglia di 500mila lire alla moglie, quindi un autobus per far visita alla madre. Intorno alle 12:30, sull’autobus n°4 che dal quartiere Parioli porta a P.zza Zama, Adinolfi avrebbe parlato dei figli con un collega. Una donna riferisce di avere incontrato Paolo Adinolfi sul treno Bologna-Torino e di aver parlato con lui. Da allora più nulla si è saputo.

Secondo alcune testimonianze e ricostruzioni la scomparsa del giudice è da riferirsi alla sua attività presso la sezione fallimentare prima e alla seconda sezione civile poi del tribunale Civile di Roma.

Il magistrato Giacomo De Tommaso ha riferito che Adinolfi gli avrebbe confidato di essere seguito e spiato.

La moglie, Nicoletta Grimaldi, è certa del fatto che il marito avesse in mano prove e documenti che avrebbero potuto “far crollare il tribunale di Roma“. La settimana dopo Adinolfi si sarebbe dovuto incontrare con il Sostituto Procuratore della Repubblica di Milano Carlo Nocerino per informarlo dei fatti. Nonostante tutto le indagini furono archiviate.

Nel 1997 la Procura di Perugia riaprì il fascicolo in seguito ad un collaboratore di giustizia, Francesco Elmo, accusato di essere membro di una vasta organizzazione che trafficava materiale nucleare e armi. Elmo era molto amico di Mario Ferraro, tenente colonnello del Sismi e fu proprio il militare a riferirgli della responsabilità dei servizi nella morte di Adinolfi. Nel 1995 il colonnello fu trovato impiccato  nel bagno del suo appartamento. 

I personaggi coinvolti nell’affaire opererebbero mediante società fantasma alla compravendita di società in procinto di fallimento. E avrebbero mani libere presso le sezioni fallimentari del Tribunale di Roma per portare a segno i traffici. E Adinolfi sarebbe stato fatto sparire da uomini della Banda della Magliana. Fatti confermati dal sostituto procuratore della Repubblica di Perugia, Alessandro Cannevale, che ha difatti confermato il coinvolgimento di persone legate alla criminalità organizzata nella cerchia di attività svolte presso la sezione fallimentare del Tribunale Civile di Roma. Adinolfi stava lavorando al fallimento di Ambra Assicurazioni, nel cui crac da 130 miliardi  cui erano coinvolti anche due magistrati romani. A dirlo è stato Michele Di Ciommo, notaio di Enrico Nicoletti cassiere della banda della Magliana ed ex agente dei Servizi segreti.

“Da un lato la richiesta di archiviazione ci addolora profondamente, ma dall’altro conferma quello che sosteniamo da dieci anni: con certezza Paolo è scomparso per motivi legati al suo lavoro”.

Furono le prime parole della signora Grimaldi all’indomani dell’ennesima archiviazione del caso nel 2004. E Lorenzo Adinolfi, figlio del magistrato disse:”Mi piacerebbe molto pensare che l’allontanamento di mio padre sia stato volontario. Ma purtroppo mio padre aveva messo le mani in affari loschi.   Sbaglia chi pensa che chi si occupa di diritto civile in Italia sia esente da problemi. Il suo lavoro certamente l’ha portato ad avere molti nemici.”

E perché il Csm non ha mai voluto ricordare la figura del giudice?

 

Antonio Del Furbo 

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