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Sono passati quasi venti anni da quel tragico incidente in cui perse la vita Marco D’Onofrio all’epoca quindicenne. Il padre, da quel giorno, non ancora riesce a ottenere giustizia per il figlio.

Era il 5 agosto 2000 quando il piccolo Marco, a causa di un incidente sulla strada provinciale Lungofino in contrada San Martino a Città Sant’Angelo, perse la sua vita. Il ragazzo, uscendo con la sua bicicletta e immettendosi dalla rampa di accesso alla strada, fu investito da un camion a rimorchio. Furono i circa 15 centimentri di dislivello tra carreggiata e banchina a tradirlo e a spegnere per sempre la sua vita. Per la famiglia sono stati anni di dolore, oltre che per la perdita di Marco, anche per via della guerra che continua a combattere contro le istituzioni per ottenere giustizia. Si sono svolti due processi di merito, uno di legittimità e una causa civile. Ma la verità è ancora lontana.

I fatto

L’autista del mezzo pesante fu assolto. Tre anni dopo, però, la Procura aprì un nuovo fascicolo dopo la denuncia ai carabinieri del padre del piccolo, che svolse le indagini da solo. Dieci anni di processi fino alla Cassazione penale per venire a sapere che i colpevoli erano due enti pubblici: Provincia e Comune di Città Sant’Angelo. Inammissibile fu dichiarato dai giudici il ricorso del Comune che, tra l’altro, rigettarono quello della Provincia condannando i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e a rifondere le parti civili.

Niente risarcimento

Nonostante la sentenza della Cassazione i familiari del ragazzo non furono risarciti. Secondo la perizia disposta dal gip dell’epoca la strada avrebbe presentato due insidie: l’assenza della corsia di accelerazione e il dislivello di 15 centimetri carreggiata-banchina.

D’Onofrio, dunque, intentò un nuovo procedimento, questa volta in sede civile, per richiedere il risarcimento danni ai due enti per un milione di euro. Per il Comune di Città Sant’Angelo, però, la responsabilità sarebbe stata del ragazzo perché avrebbe guidato con una sola mano mentre nell’altra avrebbe impugnato una lattina di Coca-Cola. In questa condizione avrebbe azionato solo la leva del freno anteriore perdendo il controllo del mezzo. Secondo il legale della Provincia addirittura non sarebbero dovute nemmeno le spese funerarie e il danno non sarebbe più risarcibile a causa del repentino decesso del ragazzo.

Le polizze

Il punto è che il contratto tra enti e assicurazioni in grado di risarcire il danno non sarebbe mai stato depositato agli atti: “io l’ho chiesto più volte con l’accesso agli atti senza mai riuscire ad averlo” ha spiegato D’Onofrio. 

Una brutta storia sparita dai giornali

Della vicenda non se n’è più parlato. Perché? D’Onofrio alcune ore fa, proprio in occasione del Flash mob dei giornalisti che protestavano a Pescara per la libertà d’informazione, è tornato con un cartello per chiedere giustizia per il figlio. Una stampa che protesta contro la presunta censura governativa che, allo stesso tempo, censura la storia (di dolore) di un cittadino.

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