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È duro il testimone chiave del processo che vede imputati pezzi di Stato in una presunta trattativa tra lo Stato italiano e Cosa Nostra avvenuta tra il 1992 e il 1993. Nel periodo successivo alla strage di via D’Amelio i Ciancimino, padre e figlio, presero contatti con il colonnello Mori, ex comandante del Ros, e il capitano De Donno, ex ufficiale dei Ros, per individuare il covo di Riina.

È duro il testimone chiave del processo che vede imputati pezzi di Stato in una presunta trattativa tra lo Stato italiano e Cosa Nostra avvenuta tra il 1992 e il 1993. Nel periodo successivo alla strage di via D’Amelio i Ciancimino, padre e figlio, presero contatti con il colonnello Mori, ex comandante del Ros, e il capitano De Donno, ex ufficiale dei Ros, per individuare il covo di Riina.


MASSIMO CIANCIMINO:”USO ESAGERATO DEL 41 BIS”

“Stanno portando all’estremo una detenzione al 41 bis con il preciso intento di voler fare morire il Provenzano in regime di 41 bis” dichiara a Zone d’ombra Massimo Ciancimino, figlio di Vito. Poi evidenzia:”solo allora garantisti e giuristi di turno lanceranno la campagna contro l’uso esagerato di un legge ai limiti della costituzionalità”. Per il testimone del processo Stato-mafia non c’è dubbio:”vogliono creare il caso, si stanno comportando in questo senso”. Sul 41 bis di Bernardo Provenzanotutte le procure si sono espresse per la sospensione. Dalle risultanze mediche non riesce a provvedere a nessuna funzione corporea, viene alimentato da flebo, ha pochi momenti di lucidità. Non può uno Stato mettersi alla pari dei mafiosi. Non può uno Stato consentire a Riina di esternare tutto e di più durante l’ora d’aria e Provenzano essere stato ridotto in queste condizioni da chi certamente voleva interrompere un suo particolare momento di loquacità. Qualsiasi sarà il finale di questa storia, sarà un brutto epilogo. Solleverà dibattiti e discussioni appositamente cercate e volute”.

IL DUO: MORI DE DONNO 

Mario Mori e Giuseppe De Donno furono rinviati a giudizio dal gip nel marzo 2013. Insieme a loro tutti gli altri imputati:  Salvatore Riina, Bernardo Provenzano, Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella, Antonino Cinà, Antonio Subranni, Calogero Mannino e Marcello Dell’Utri, accusati di violenza o minaccia a corpo politico, mentre Nicola Mancino era accusato di falsa testimonianza. 
Nella sentenza di primo grado del processo, il tribunale ritenne provati i contatti tra Vito Ciancimino e il Ros basandosi sulle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Giovanni Brusca, su quelle del generale Mario Mori e del capitano Giuseppe De Donno, i quali sostennero di avere preso quell’iniziativa per riuscire a catturare qualche latitante e per cercare di impedire altre stragi. La sentenza affermò esplicitamente che si trattò di una “trattativa” e “che le stragi erano state compiute per costringere lo Stato a scendere a patti con l’organizzazione mafiosa”. La IV Sezione Penale del Tribunale di Palermo, il 17 luglio 2013, ha assolto il generale Mori e il colonnello Obinu dei Carabinieri dall’accusa di favoreggiamento alla mafia per aver impedito la cattura di Bernardo Provenzano nel 1995.
 
 
NICOLA MANCINO SAPEVA

Il pentito Giovanni Brusca raccontò che nel 1991 l’interesse ci Cosa Nostra era quello di contattare Dell’Utri e Berlusconi per arrivare a Bettino Craxi e convincerlo ad intervenire sul maxiprocesso.
Secondo Brusca:”La sinistra, a cominciare da Mancino, ma tutto il governo, in quel momento storico, sapeva quello che era avvenuto in Sicilia: gli attentati del ’93, il contatto con Riina. Sapevano tutto. Che la sinistra sapeva lo dissi a Vittorio Mangano. Gli dissi anche: ‘I Servizi segreti sanno tutto ma non c’entrano niente”. Mangano comprese e con questo bagaglio di conoscenze andò da Dell’Utri.”
La procura di Palermo durante le indagini sottopose Mancino ad intercettazioni telefoniche registrando, casualmente, le telefonate fatte dall’ex ministro al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e a Loris D’Ambrosio. Napolitano, però, affidò all’avvocatura dello Stato “l’incarico di rappresentare la presidenza della Repubblica nel giudizio per conflitto di attribuzione da sollevare dinanzi allaCorte costituzionale nei confronti della Procura della Repubblica di Palermo per le decisioni che questa ha assunto su intercettazioni di conversazioni telefoniche del Capo dello Stato”.


IL PAPELLO

Massimo Ciancimino ha sempre sostenuto di aver ricevuto, tramite il mafioso Antonino Cinà, il ‘papello’ con le richieste di Riina. Massimo avrebbe dovuto consegnare tale richiesta con al padre. Vito scrisse però un contro-papello perché, a suo dire, le richieste erano improponibili. Il documento doveva essere sempre indirizzato a Mancino e Rognoni. 


DE DONNO E LE MANI SULL’EXPO 2015

De Donno mette le mani sull’Expo perché incaricato di “prevenire l’insorgenza di comportamenti devianti”. Tale prevenzione durata 3 anni, dal 2010 al 2013, è stata pagata 560 mila euro. Però, a quanto risulta,quel contratto era illecito. Sì perché, secondo il pm Alfredo Robledo, non è solo questa la cosa strana. Ci sarebbe nel pentolone anche reati come la turbativa d’asta, il falso ideologico e la truffa aggravata ai danni delle casse pubbliche. Giuseppe De Donno è l’uomo che Formigoni ha voluto alla ‘trasparenza e alla legalità per vigilare sugli appalti di Expo 2015’. 

Dopo il congedo, De Donno ha fondato una società di sicurezza ovvero la GRisk. Scrive il ‘Fatto’:”Alla GRisk, Rognoni, direttore generale di ‘lnfrastrutture Lombarde’ e amministratore della partecipata ‘Concessioni Autostradali Lombarde’, affida la ‘rilevazione del rischio ambientale e legale nell’ambito delle attività istituzionali’. E tra le attività istituzionali della ‘Infrastrutture Lombarde’ c’é Expo 2015. Rognoni affida appalti per 11 miliardi, finiti nel mirino della procura. De Donno avrebbe dovuto rappresentare, nel comitato di controllo per Expo 2015 – dove s’insedia, per volontà di Formigoni, il 7 agosto 2009 – il baluardo della legalità. Invece, secondo il pm Alfredo Robledo, l’ex ufficiale del Ros s’accorda per la GRisk con Rognoni ‘per l’assegnazione continuativa di incarichi di consulenza’, ma senza la ‘procedura selettiva prevista per legge’. Non solo: gli investigatori scoprono date false nelle delibere e ‘frazionamento delle commesse’, pur di non accedere alla gara pubblica con cinque concorrenti. Il compito della GRisk previsto dai contratti è ‘attività d’intelligence preventiva’, ‘monitoraggio progressivo e costante per la prevenzione di patologie devianti’, ‘collegamento con i rappresentanti delle istituzioni locali per la condivisione delle politiche comportamentali’.
 
Antonio Del Furbo



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