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Fiat Italia e il disastro annunciato

Il mercato dell’automobile è in crisi profonda ormai da parecchi mesi. Le vendite nel Vecchio Continente sono crollate. Ci sono però modi diversi per reagire a questa situazione. La Volkswagen (probabilmente la Casa europea che sta reggendo meglio di tutte l’urto)  ritiene ad esempio che non sia il caso di imporre risparmi o rallentare il lancio di nuove vetture.  Il colosso tedesco non ha intenzione di chiudere nessuna delle sue novantanove fabbriche, anzi ha deciso un massiccio piano di sviluppo che prevede investimenti per oltre 50 miliardi di euro nei prossimi tre anni.  Nuovi modelli, nuovi motori e ingenti spese nella ricerca legata soprattutto a innovative forme di tecnologia che pensino al post “fine-petrolio”.  Una strategia aggressiva dunque, per fare rendere al meglio gli utili collezionati negli ultimi anni e un piano concordato con igMetall, il più forte sindacato industriale del mondo, che in conformità con la legge  tedesca e con le leggi sulla cogestione,  è rappresentato anche nel consiglio di sorveglianza del gigante teutonico.  I leader sindacali hanno elogiato le decisioni prese dalla Volkswagen vedendo in esse una garanzia solida anche per la difesa dei posti di lavoro.  Ora spostiamoci in Italia e pensiamo alla Fiat, che dovrebbe essere un valido concorrente per i tedeschi e osserviamo il desolante panorama che abbiamo dinanzi agli occhi.  Nuovi modelli che fanno flop (vedi 500 negli Stati Uniti) o che snaturano completamente la storia e la tradizione di un marchio (crossover Alfa Romeo); continui contrasti con Parlamento (Il governo invece ahimè adotta una linea piuttosto morbida) e sindacati, nonché manifestazione di una certa arroganza nell’arroccarsi sulle proprie posizioni;  fabbriche chiuse dall’oggi al domani;  tagli drastici del personale fino alla brutta pagina scritta in occasione del licenziamento di 19 lavoratori per reintegrare i “discriminati della Fiom”.  Un comportamento che non ha bisogno di commenti, tanto si colloca in basso sulla scala dei valori dell’umanità.  Davvero non si potevano trovare soluzioni diverse per l’azienda privata più sovvenzionata dallo Stato italiano?

Ignazio Urtubia

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