Attilio Manca, storia di una morte tra depistaggi, mafia, Servizi segreti e Procure disattente
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Attilio Manca fu trovato morto nella sua casa di Viterbo alle 11 di mattina del 12 febbraio 2004. Nel suo polso sinistro furono trovati due fori, mentre sul pavimento fu individuata una siringa.

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La giustizia sulla morte dell’urologo siciliano Attilio Manca è stata negata su tutti i livelli. Perizie sul corpo del giovane definite “infami”, leggerezza nelle indagini e, soprattutto, la volontà di estromettere la famiglia dal processo sulla morte del loro caro. Secondo l’inchiesta effettuata subito dopo il ritrovamento del cadavere si sarebbe trattato di un suicidio. La ricostruzione fu contestata dai genitori: Attilio Manca, infatti, era mancino. Le siringhe trovate non riportavano alcuna impronta digitale del medico. Manca di certo non si sarebbe preoccupato di indossare dei guanti o ripulire gli strumenti se intenzionato a suicidarsi. Secondo i genitori, se fosse stato lui a farlo, non si sarebbe iniettato la droga nel polso sinistro ma in quello destro. I genitori non si arrendono e continuano a lottare. Per loro Attilio Manca fu ucciso e il suo caso non doveva andare disperso.

Commissione parlamentare antimafia

Il 1° aprile sono stati ascoltati in commissione parlamentare antimafia, presieduta dal senatore Nicola Morra, la madre Angela Gentile e l’avvocato difensore della famiglia Manca, Fabio Repici.

“In questi anni abbiamo lottato in tutti i modi – ha detto la madre di Attilio – per arrivare alla verità ma nessuno ci ha mai ascoltato. Non potete immaginare la mia sofferenza quando siamo stati estromessi dal processo a Monica Mileti, la donna accusata di aver fornito a mio figlio la dose di eroina che poi lo avrebbe portato alla morte. Il dott Petroselli ci ha estromesso dal processo. Quel giorno che ci hanno buttato fuori mi sono sentita sconfitta, umiliata”. E ancora: “anche i nostri legali si sono detti stupiti del fatto che una famiglia così duramente colpita nei suoi affetti non venisse ammessa come parte civile. Forse il primo caso in Italia. Senza contare che nonostante i tanti pentiti che hanno parlato della morte di Attilio non e’ stato celebrato alcun processo”. 

Oltretutto i collaboratori di giustizia che avrebbero potuto parlare sono stati tutti quanti definiti attendibili da varie sedi giudiziarie. Ma non sono mai stati ascoltati nell’ambito della morte di Attilio Manca da nessuna procura della Repubblica.

Tra questi anche il pentito Carmelo D’Amico (ex capo dell’ala miliare di Cosa Nostra di Barcellona Pozzo di Gotto) che ha reso ad ottobre del 2015 una dichiarazione in cui ha raccontato di due confidenze raccolte tra il 2004 e il 2006 nelle quali spiccano i Servizi segreti dietro l’omicidio di Attilio Manca.

“Ci siamo sentiti sconfitti e umiliati – ha detto con rabbia Angela Gentile – ho pensato che fosse inutile continuare a combattere perché c’erano dei poteri troppo forti. Persone che non ci avrebbero mai permesso di accertare quello che è effettivamente accaduto”

I coniugi Manca hanno raccontato di aver sempre pensato che si trattava di un omicidio di mafia ma, come ha detto la madre.

“Non ne capivamo la motivazione. Fino a che il 20 febbraio del 2005 la Gazzetta del Sud esce con un articolo: il pentito Francesco Pastoia in una intercettazione o ambientale o telefonica parla di un urologo che ha visitato Bernardo Provenzano nel suo rifugio. In quel periodo io andavo tutti i giorni al cimitero e una volta incontrai il padre di un caro amico di Attilio che mi disse ‘non è che tuo figlio è stato ucciso per aver visitato Bernardo Provenzano?’. Io nemmeno lo conoscevo, li per lì mi è parso assurdo. Ma quelle parole mi sono subito tornate in mente quando è stato pubblicato l’articolo”.

Un dato che messo in relazione con molte altre “anomalie” raccontate dalla madre di Attilio in commissione antimafia ha permesso alla famiglia di avere alla fine un quadro estremamente chiaro. “Attilio è stato l’urologo che ha visitato Bernardo Provenzano”. 

L’avvocato della famiglia Manca non ha usato mezze misure ieri nel descrivere alla Commissione Antimafia ciò che è accaduto alla famiglia Manca.

“Mi permetto pure di dire senza peccare di falsa immodestia che qualcosa di processi per fatti di mafia mi è capitata. Mi è capitato di occuparmene nel mio ruolo professionale quale difensore di famigliari di vittime di mafia. L’evenienza che è capitata ai genitori di Attilio Manca non è mai, dico mai capitata nella storia della Repubblica. È un fatto. Sin dall’inizio si sono fatte indagini solo sul morto non su eventuali responsabili di condotte che avrebbero potuto portare in modo diretto o indiretto al decesso di Attilio Manca” e ancora “i genitori di Attilio Manca non sono mai stati ascoltati da un pubblico ministero della Repubblica. Mai.”  

L’avvocato ha fatto riferimento al caso di Monica Mileti, la donna che secondo la Procura della Repubblica di Viterbo avrebbe ceduto l’eroina ad Attilio Manca con il quale poi si sarebbe ucciso.

“Il 16 dicembre dell’anno 2021 è stata emessa dalla Corte d’Appello di Roma, terza sezione penale, una sentenza nel processo a carico della signora Monica Mileti di cui avete già sentito il nome. La signora Monica Mileti su azione penale esercitata allora della Procura della Repubblica di Viterbo, proprio da quel Pubblico Ministero dottor. Renzo Petroselli a cui a fatto riferimento la signora, venne imputata di due reati l’articolo 73 del testo sugli stupefacenti per la cessione della eroina che fu sicuramente inoculata nel braccio sinistro di Attilio Manca con due siringhe nelle fasi appena precedenti alla sua morte. E insieme a questo reato era anche imputata anche del reato di morte di altra conseguenza di atro delitto. Cioè come conseguenza della cessione della droga” quindi è stata la “Procura della Repubblica di Viterbo a mettere in connessione non solo logica ma materiale le due ipotesi di reato”.

Sul caso di Attilio Manca viene messa la pietra tombale con quell’assoluzione.

La storia processuale

 Il 15 ottobre 2012 per la quarta volta la procura di Viterbo chiede l’archiviazione del caso. Il legale della famiglia Manca ha affermato che il caso necessita di ulteriori supplementi d’indagine. Nell’ottobre 2013 la famiglia Manca si affida all’avvocato Antonio Ingroia che va così ad assistere il collega Fabio Repici. Il 3 febbraio 2014 il GIP rinvia a giudizio Monica Mileti, la spacciatrice che avrebbe venduto la dose di eroina a Manca per il presunto suicidio.

Il 5 febbraio 2014, a sostegno delle tesi alternative a quella del suicidio, il sito del programma televisivo Servizio Pubblico mostra in anteprima le immagini del corpo senza vita del dottor Manca. Le immagini mostrano alcuni segni di una possibile colluttazione. Nell’ottobre 2015 il pentito Carmelo D’Amico, ex capo dell’ala militare di Cosa Nostra barcellonese, rivela che poco dopo la morte di Manca aveva parlato con Salvatore Rugolo. Rugolo è il mandante dell’omicidio di Beppe Alfano, che era infuriato con Rosario Cattafi, capo della mafia di Barcellona Pozzo di Gotto, perché riteneva quest’ultimo responsabile dell’omicidio di Manca. Cattafi avrebbe chiesto a Manca di operare Provenzano in seguito alle sollecitazioni di un soggetto non precisato, appartenente ai Carabinieri o ai Servizi segreti.

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