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Mi permetto, nel mio piccolo, di ricordare le frasi ingiuriose di un personaggio che, in una tranquilla mattina d’inverno, è piombato in Abruzzo a raccontare, agli abruzzesi, e in particolare ai teramani, che “la camorra non è una montagna di merda ma è una scelta di vita”. Il personaggio si chiama Nicola Di Matteo ed è il nuovo amministratore delegato del Teramo calcio.

di Antonio Del Furbo



Mi pare di capire che l’uscita di Di Matteo sia stata presa quasi come un’uscita folcloristica. Qualche polemica si è alzata un po’ qua e un po’ là ma sembra già tutto finito. Certo, si è indignato il sindaco di Teramo Gianguido D’Alberto, che ha replicato stizzito che “La camorra è una scelta di morte e non di vita”, che “Nessun cittadino teramano si riconosce in parole che non denuncino come la camorra, al pari di ogni altra organizzazione criminale di stampo mafioso, sia sopraffazione, delinquenza, dispregio delle leggi e della libera convivenza continua il sindaco” e che, infine, non si può “accettare che chi si unisce alla nostra comunità in qualche modo giustifichi o ‘rispetti’ quei comportamenti, quelle scelte di vita e quella cultura”.

Bene. Anzi benissimo. Ma mica tanto. Le parole di D’Alberto (e dei teramani) hanno talmente spaventato Di Matteo che lui ha precisato replicando lo stessissimo concetto espresso in precedenza. “Non rinnego la mia terra, né le mie origini, ci mancherebbe – precisa Di Matteo – così come fa parte del mio animo rispettare tutti, ma ribadisco un concetto già affermato, per evitare ulteriori malintesi: ognuno di noi ha il diritto di scegliersi la sua strada e di disegnare il proprio percorso, ma quel tipo di vita non mi piaceva, né la reputo raccomandabile”. 

Cosa aspettano i teramani e il sindaco di Teramo a buttare fuori dalla città un personaggio del genere? Senza scomodare un qualche magistrato che, magari dopo la pausa natalizia è ancora in fase digestiva e non può occuparsi di un personaggio che quasi celebra l’onnipotenza camorristica, c’è qualcuno a Teramo in grado di rimandare nella sua amata terra Nicola Di Matteo dandogli un bel ceffone culturale? C’è qualcuno a Teramo, come ad esempio il presidente del Teramo, Luciano Campitelli, in grado di dire “no, grazie” ai soldi dell’amministratore delegato Di Matteo? È possibile, signor presidente, rinunciare al 20% della quota societaria dell’imprenditore casertano oppure, come sempre accade, nel mondo del calcio tutto è possibile visto che ciò che conta è sempre e solo il dio denaro? Può rispondere qualcosa, signor Campitelli, quando il suo socio Di Matteo dice di voler essere giudicato “non per i classici luoghi comuni che caratterizzano il nostro Paese” “ma per il lavoro che metterò in opera“? Vuole rispondere ad esempio, signor presidente, dicendo che Di Matteo già ‘vanta’ alle sue spalle un fallimento con il Mantova, e un paio di tentativi andati a vuoto per rilevare prima il Rimini e poi l’Arezzo?

E magari insieme al sindaco, signor presidente, dica al Prefetto Francesco Cirillo, presidente del Comitato etico della Lega Pro che si riunisce (con molta calma) il 17 gennaio con Francesco Ghirelli, presidente dell’organismo calcistico con il Comitato etico per capire cosa fare dopo le dichiarazioni del suo socio, che il Teramo calcio rinuncia alla quota di Di Matteo.

Sarebbe un bellissimo schiaffo a Nicola Di Matteo. Schiaffo culturale, ovviamente.

Di admin

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