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Il sindaco dell’Aquila riconsegna il tricolore e lo Stato gli dichiara guerra. «Cacciatemi come i sindaci mafiosi»

Massimo Cialente in una nota ha comunicato che gli è stato notificato un decreto di diffida dal Prefetto in riferimento alle recenti azioni intraprese. Cialentino ne ha combinata un’altra delle sue: ha restituito il tricolore al Quirinale e ha rimosso le bandiere italiane dagli edifici che ospitano gli uffici comunali e le scuole. Il Prefetto giudica tali azioni:«potenzialmente turbative all’ordine e alla sicurezza pubblica» essendo il prestigio dello Stato leso da tali manifestazioni di dissenso. Il Prefetto decreta infine, ha reso noto ancora il sindaco, che l’eventuale persistenza della condotta posta in essere dal primo cittadino potrà costituire oggetto di valutazione per l’adozione del provvedimento di sospensione dalle sue funzioni. Il super sindaco l’ha fatta proprio grossa. Qual è l’intenzione di Cialente? Portare all’attenzione del mondo che la ricostruzione dell’Aquila è ferma e che i soldi sono spariti e finiti chissà dove? Lo sappiamo tutti ormai. Forse farebbe meglio a dimettersi. Forse.

CIALENTE L’INFURIATO

«Con questa lettera ufficialmente comunico di respingere la diffida ed il decreto per cui mi aspetto che il Governo Italiano, che certamente era a conoscenza di questo decreto di diffida e probabilmente ispirandolo, si assuma la responsabilità di rimuovermi da sindaco, oggi stesso o domani al massimo. Come si fa per i sindaci mafiosi». La replica è stata scritta di proprio pugno da Massimo Cialente e indirizzata, tra gli altri, al presidente del Consiglio dei Ministri, ai ministri dell’Interno, della Giustizia, della Coesione Territoriale e, per conoscenza, al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. «Ricevo in questo momento dal Prefetto della Provincia dell’Aquila – aggiunge – un decreto che mi diffida formalmente a porre termine con immediatezza alla mia azione di protesta, assunta istituzionalmente da me e dalla Giunta della Città terremotata capoluogo della regione Abruzzo, L’Aquila, disponendo l’immediata ricollocazione della bandiera nazionale sugli edifici pubblici del Comune ed alla riacquisizione subito della mia fascia tricolore della quale dovrei fare ‘sempre un uso rispettoso delle norme di legge vigenti’. Sono allibito. Come denuncio da mesi, inascoltato, la situazione dell’ordine pubblico in questa città che è ormai una polveriera di rabbia, disperazione, scoramento, se ancora viene un minimo mantenuta lo si deve – osserva Cialente – all’ingrato compito che in nome di uno spirito istituzionale che ad altri manca, il comune dell’Aquila si è assunto, esercitando una faticosa e dolorosa opera di cuscinetto fra l’abbandono dello Stato ed una comunità che a quattro anni dal sisma vede uno dei più grandi centri storici d’Italia, il suo centro storico, completamente abbandonato a se stesso e le case della periferia distrutta. Una comunità, ancora oggi sfollata per il 50%.

«LO STATO MI RIMUOVA COME I SINDACI MAFIOSI»

«Da uomo delle Istituzioni quale so di essere – si legge nella lettera – ricordo a tutti che la bandiera, simbolo della Patria, non si onora in modo formale, ma rispettandola anzitutto con azioni di responsabilità e dovere istituzionale, a cominciare dallo Stato e dai Governi che, invece, non hanno assolto il loro compito nei confronti della più grande tragedia naturale degli ultimi cento anni. I bambini non si turbano perché non vedono il tricolore! Sono turbati perché vivono in case di fortuna o ancora negli alberghi o nella caserma della Guardia di Finanza o perché vanno a scuola in moduli prefabbricati di latta perché ancora non sono arrivati fondi per ricostruire le loro scuole. Quando gli ufficiali di Polizia sono venuti a portarmi un documento del Prefetto, pensavo contenesse una lettera di qualche Istituzione Nazionale che prendesse atto della disperazione e di una rabbia di una città umiliata, che chiedesse scusa agli aquilani per questi quattro anni di trascuratezza. Invece è la diffida e la minaccia di cacciarmi. Come un sindaco mafioso. Il consiglio comunale dell’Aquila viene sciolto come i comuni mafiosi. Mi aspettavo una lettera di scuse. Mi si caccia! Sono orgoglioso di essere cacciato. I cittadini capiranno le mie ragioni, le hanno già capite. Sono le loro stesse! Allora, sono io che voglio segnalare, per l’ultima volta che le istituzioni stanno facendo eccessivo affidamento sulla dignità, la compostezza ed il senso di responsabilità degli aquilani. Ma a tutto c’è un limite. Nel riconfermare che assolutamente non intendo retrocedere da quanto da me deciso insieme alla Giunta Comunale, sino a quando lo Stato non darà risposte al Cratere, confermo al Presidente del Consiglio ed al Ministro degli Interni di aspettare nella giornata odierna o al massimo di domani la mia rimozione da Sindaco. Mi piacerebbe che uno di loro, cogliendo l’occasione per vedere in quale stato versa la Città dell’Aquila ad oltre quattro anni dal sisma, lo venga a comunicare di persona, ufficialmente, alle aquilane ed agli aquilani. Comunque, sappiano – conclude Cialente – che rimuovendo me ed il Consiglio Comunale non riusciranno a tacitare l’indignazione di un’intera popolazione».

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